A man declinazione arancio
A man declinazione arancio
I corpi dei vivi. Sulla pittura di Filippo Manfroni
Scorci di corpi nudi sottoposti a luce accecante, spesso frontali, su fondo... Leggi tutto
piatto. Lo sfondo indistinto, quasi sempre nero, impedisce l’emergere di una vera e propria “scena”, inchiodando lo sguardo a una visione ravvicinata che non consente distacco né “buona distanza”. È possibile un figurativo contemporaneo, una rappresentazione del corpo che abbia ancora senso in un mondo mai come oggi fondato sulla produzione, manipolazione e diffusione di immagini, in cui proliferano nudi di ogni genere e specie, fatalmente destinati alla standardizzazione? Può oggi un artista essere così folle da credere alla figura, da cimentarsi nella ricerca di una figura che non sia mera raffigurazione del già noto? Su questa sfida, titanica, si fonda l’intera ricerca di Filippo Manfroni. Si dice ci siano due sole vie possibili per sfuggire alla banalità della figura: per astrazione, verso il concetto, e per via sensibile, secondo una logica della sensazione. Manfroni opta per la seconda strada, sottoponendo i corpi a un sottile processo di dissoluzione. Per cancellazione di interi elementi, per svuotamento, per fusione con altri corpi o con il magma denso del fondo che rischia di ingoiarli, o ancora sottoponendoli a forze anonime, colate di colore che ne intaccano ulteriormente l’integrità. Corpi inermi, passivi di fronte alle forze che li attraversano, che mantengono per contrasto, come unica forma di resistenza, forma e sensualità, esaltate da violenti chiaroscuri. A dispetto del cinismo di uno sguardo assuefatto a milioni di nudi-cliché, in quei corpi c’è la vita, danza effimera di gravi mobili, in bilico fra l’evanescenza del fantasma e l’immobilità pulsante della carne, ancora sangue e già ricordo o allucinazione.
Maria Cristina Addis,
Centro di Semiotica e Teoria dell’Immagine Omar Calabrese (Università di Siena) Chiudi
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