Artista affermato, astrattista nell’anima, Francesco Zurlini porta in Cinquerosso Arte i suoi Studi, la sua esperienza e la sua carica di positività. Pensa che non bisogna mai fermare il motore creativo.
Francesco, raccontaci la tua storia.
Dipingo da tantissimi anni, quindi rispetto ai giovani che ho incontrato in Cinquerosso Arte mi sento un po’ un nonno. Provengo da una famiglia di artisti, dal momento che mio padre era un regista di cinema, appassionato e collezionista d’arte. È lui che mi ha iniziato a questo mondo, nel senso che mi ha fatto amare l’arte contemporanea da quando ero poco più di un bambino.
Ho avuto diverse fortune in questo lungo cammino, che è stata inizialmente quella di venire a contatto con i grandi maestri dell’astrattismo italiano degli anni ’60/’70, in special modo Afro Basaldella, da cui ho ereditato l’amore per la pittura astratta. A un certo punto della mia vita ho sentito il bisogno di mettermi alla prova. Avevo una sorta di visione delle cose, un mio senso estetico, un percorso che si sviluppava ogni qual volta andavo a una mostra e mi accorgevo di rimanere incuriosito da alcune cose, e che avrei voluto rielaborarle in un altro modo. Quindi sono andato in un negozio e ho comprato tutto il materiale che mi serviva per incominciare a dipingere. È iniziata così, e sono arrivato a oggi, con più di 35 anni di carriera artistica.
Un passo decisivo e coraggioso.
Io sostengo sempre che dentro ognuno di noi c’è un artista. Qualcuno ha una particolare predisposizione, ma se non ti metti mai alla prova non potrai mai sapere fino a che punto i tuoi pensieri, le tue voglie, le tue aspirazioni possano andare avanti. Io non ho mai avuto un maestro, non ho frequentato scuole d’arte, ho studiato quello che mi interessava. Mi sono confrontato con quelli che erano i miei artisti di riferimento, li ho approfonditi, li ho guardati, li ho analizzati.
Sono andato avanti a tentoni e tentativi, facendo i miei pasticci, affinando le tecniche e mischiandole. Da questo poi è venuto fuori con il tempo il mestiere. Perché anche l’artista ha bisogno dell’esperienza per avere consapevolezza di tutto quello che si ha a disposizione, soprattutto per quanto riguarda i materiali, che sono vari e differenti uno dall’altro. E come tutti i mestieri, più lavori, più affini l’ingegno e la pratica.
Che cosa differenzia quindi un artista rispetto a una persona che fa un altro mestiere?
Credo che sia una predisposizione mentale. Io sono un astrattista, quindi quando ho un’idea vedo proprio che mi si sviluppa in testa qualcosa su cui devo lavorare. Nel momento in cui l’idea non c’è bisogna comunque continuare a lavorare, perché è solo attraverso il lavoro che tu mantieni allenato il tuo fare, il tuo motore creativo. Nel momento in cui stoppi il motore creativo (lavori di meno, ti prendi un periodo di pausa, ti succede una sfortuna nella vita…), ti blocchi nella produzione. E si blocca anche la testa, l’inventiva.
Puoi raccontarci un episodio della tua carriera che ti è particolarmente caro?
Tenni la mia prima mostra personale a Bologna, durante un’edizione di Arte fiera in uno spazio meraviglioso in via Marsala. Ad un certo punto, entrò questo signore che si incantò di fronte ai miei quadri e mi volle conoscere. Era Giuliano Serafini, un importante critico d’arte, e mi disse una cosa che mi colpì: “Questa è stata la mostra più bella che abbia visitato in questa edizione di Arte fiera”. Volle addirittura curare il catalogo di una mia mostra successiva organizzata dal comune di Siena, al complesso museale di santa Maria della Scala.
Le opere in vendita con Cinquerosso Arte si chiamano Studi. Come mai?
Perché sono effettivamente degli studi. Appartengono a una piccola produzione su carta che ha una funzione ben precisa nella mia pittura, che è quella di raccogliere le idee. Quando ho bisogno di studiare, di fare tentativi, prove di accostamento di colore e così via, lavoro su bozzetti. Ma definirli bozzetti è fuorviante perché alla fine diventano opere finite. Non riesco mai a lasciare una cosa a metà, o semplicemente mettere insieme due colori e vedere come stanno. Questo è un po’ il mio limite perché sono molto lungo nel completare un’opera, e quindi potrebbe sembrare che io perda tempo nel provare formati o supporti che poi magari rimangono dentro un archivio. In realtà è una fase importante: solo attraverso questo studio riesco a raccogliere le idee per poi dipingere su tele di tre metri per tre metri, per esempio.
Cosa pensi di Cinquerosso Arte?
Oltre al fatto che mi lega a Francesca una lunga amicizia (ci conosciamo da trent’anni!), ho accettato con molta gioia anche perché non avevo mai fatto delle mie opere una stampa, e sono rimasto molto sorpreso: non mi aspettavo una resa cromatica e una resa della texture così raffinata.
Basti pensare che posso usare il bianco in dieci maniere differenti, posso fare una sola pennellata, o cinque, o venti. La stampa Fine art ha il merito di riuscire a rendere questi effetti di spessore in modo sorprendentemente fedele all’originale.