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Giulia Gray – L’evoluzione attraverso le piccole cose

Dopo anni di lavoro nel campo della moda, Giulia Gray ha deciso di dedicarsi all’arte e di esplorare, attraverso essa, l’umano. La sua è un’arte istintiva e meditata allo stesso tempo, dove confluiscono emozioni e studio, impeti e ragione.

Giulia, raccontaci di te.

Ho sempre dipinto e fotografato, sin da quando ero bambina e dipingevo già ad olio su tela. Da piccola avevo due grandi passioni: la pittura e la moda. Ho scelto di studiare e lavorare nel mondo della moda per tenere l’arte in una zona più “incontaminata”. Ho frequentato moda all’istituto d’arte a Firenze, poi il Polimoda, e infine mi sono trasferita a Bologna dove ho iniziato a lavorare alla Perla come stilista. Continuando la carriera di designer per vent’anni, finché ho ricominciato a dipingere. Nel 2021 ho deciso di lasciare definitivamente la moda per dedicarmi completamente all’arte, e sta andando bene. Benché io sia in questo campo da pochissimo, ho tanti riscontri positivi: vendo, sono contattata da critici e gallerie, mi hanno dato una quotazione che chiaramente non è altissima perché sono neofita, ma avere vent’anni di esperienza in una carriera creativa ha comunque un peso. Insomma, sono felicissima perché sento di star facendo quello che devo fare, di seguire la mia vocazione. Certo, è tutto in divenire, ma mi sento sulla strada giusta.

Come nascono le tue opere?

Dipende. Tra quelle che ho proposto a Cinquerosso Arte ci sono per esempio alcuni studi che hanno come protagonista il mio gatto, Spuma. Quando ho ricominciato a dipingere volevo sviluppare nuove tecniche usando materiali diversi: infatti mischio china e acquerello, uso il sale e altri prodotti per ottenere reazioni particolari. Spuma è una musa che ho sempre sottomano, dal momento che dipingo in casa, nel mio studio. I suoi ritratti fondamentalmente nascono dalla possibilità di avere un soggetto sempre disponibile per le pose. Inoltre si presta molto bene per quello che voglio fare, anche grazie ai suoi colori.

Altre opere, invece, hanno un’impronta astratta.

Sì, dopo il primo periodo ho iniziato a fare tutto un altro tipo di lavoro. Qualcosa di molto più introspettivo sull’evoluzione personale e sull’evoluzione in generale dell’essere umano. È una ricerca abbastanza impegnativa, che va appunto verso l’astrazione. Tra l’altro non lavoro solo come pittrice, perché mi interesso anche di fotografia e video arte, ma il tema è quello: esplorare il quotidiano, capire come l’evoluzione umana passi dalle cose semplici, le più piccole. Lavoro tanto sul contesto della casa e dell’intimità, ovvero tutto ciò che è molto intimo e quotidiano, che di solito non osserviamo perché sembra banale. Come un gatto, appunto.

Quanta parte del tuo lavoro è razionale e quanta parte è istintiva?

Nel mio caso vengono insieme, nel senso che la mia è una pittura realizzata in modo molto istintivo, di getto, che però nasce da un lavoro personale su me stessa, di meditazione, di terapia. Mi interessa anche lo studio della psicologia, e di altre discipline meno scientifiche come l’astrologia: tutto quello che riguarda l’essere umano, insomma. Nelle mie opere c’è quello che ho vissuto, come mi sentivo a livello emotivo mentre lavoravo, luci e ombre del vissuto umano ed emozioni più o meno palpabili.

Ma tutte queste sensazioni e questi stati d’animo vanno a creare qualcosa di più ampio. Non voglio che le mie opere siano troppo personali, perché in realtà mi interessa comunicare: vorrei che ognuno potesse sentirle come proprie. Anche per questo sono pensate per essere componili e personalizzabili, in modo che vadano a creare qualcosa di unico e in divenire.

Come ti trovi con Cinquerosso Arte?

Benissimo. Mi sembra una realtà molto seria, inoltre sono tutti molto carini. È un bel progetto in cui sento tanto entusiasmo. Spero che vada avanti, e per ora le impressioni sono molto positive.

Leggi l’intervista a Owen Gent!

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Mattia, che cos’è l’arte per te?

Ho sempre praticato l’arte in modo disinvolto, senza farne un progetto di vita. Sono un ingegnere meccanico e lavoro appunto in un’azienda manifatturiera; qualcosa di piuttosto distante dalla pittura. Vengo però da una famiglia in cui comunque c’era interesse per l’arte visiva, in particolare da parte di mio padre. Diciamo che, fino a un anno fa, dipingere era per me un’attività rilassante per i ritagli di tempo. Solo da un anno a questa parte ho deciso di farlo in modo continuativo e vorrei che diventasse un’attività più strutturata.

Le tue opere sono piuttosto profonde. C’è molto pensiero dietro?

Sì, quasi sempre c’è una progettualità pregressa. Prima di mettermi a dipingere immagino lo scenario che vorrei rappresentare. Magari non ho già chiaro il soggetto, ma quantomeno so qual è l’atmosfera che vorrei creare. È da lì che parto. A volte, se non riesco a mettermi subito all’opera, prendo appunti. In genere nei miei lavori ci sono ambienti e figure piuttosto riconoscibili, ma vorrei spostarmi piano piano verso una maggiore astrattezza. Non ho ancora il dono della sintesi estrema e quindi non riesco a sentirmi a mio agio in un contesto astratto, ma aspiro a quello. Quando ci provo, mi accorgo di finire nel manierismo e vorrei evitarlo. La sintesi non è semplice perché è molto più facile aggiungere che togliere.

In ogni caso le tue opere sono piuttosto potenti. Ricordano i capolavori del surrealismo.

Prima di tutto grazie. In effetti amo molto Magritte, e in generale apprezzo l’intimità di alcune atmosfere. Come dicevo, nelle mie opere ci sono figure riconoscibili perché mi piace il realismo del dettaglio, ma non sono interessato al realismo della situazione, alla riproduzione pura e semplice della realtà. Mi interessa il dettaglio realistico decontestualizzato. Mi piace appunto creare atmosfere che conciliano l’introspezione. Tendo per esempio ai toni scuri e mi viene istintivo creare opere con ambientazioni crepuscolari e notturne. Forse perché sono le ore in cui c’è più tranquillità, in cui vengono meno le interferenze ed è più facile pensare.

Cosa ti piacerebbe che le persone provassero davanti a una tua opera?

Vorrei che provassero una sensazione di familiarità e allo stesso tempo straniamento. Vorrei che vedessero qualcosa che gli sembra di conoscere ma che non riescono a capire del tutto, come quando si cerca di ricordare un sogno. Mi capita di vedere opere in cui non c’è un dettaglio che mi colpisce, non c’è una situazione più o meno interessante, ma c’è una sensazione di smarrimento: mi sembra di riconoscere qualcosa di familiare che ho dimenticato. Quella sensazione mi piace molto e vorrei che le persone potessero provarla davanti alle mie opere. Vorrei che si sentissero toccare nell’inconscio.

Come ti trovi con Cinquerosso Arte?

Mi piace, perché è tutto gestito in modo molto professionale e curato, anche per quello che riguarda le presentazioni sul sito. Purtroppo non ho potuto partecipare alla reunion dell’anniversario perché ero all’estero, ma spero che ci saranno altre occasioni.  

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