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Buon compleanno Cinquerosso Arte

Buon compleanno Cinquerosso Arte!

Il 5 maggio 2022 iniziava ufficialmente l’avventura di Cinquerosso Arte. A dodici mesi di distanza si può già fare un primo bilancio, tra aspettative e prospettive. Ne parliamo con Francesca Fazioli, mente e cuore del progetto.

Francesca, ripensando a un anno fa, qual è la prima cosa che ti viene in mente?

Ricordo in particolare la fibrillazione di quei giorni. Anche se il varo ufficiale di Cinquerosso Arte è avvenuto il 5 maggio, avevamo alle spalle già diversi mesi di lavoro, durante i quali abbiamo coltivato l’idea ed il progetto, dandogli corpo giorno dopo giorno.

In quel momento il futuro era pieno di incognite, perché si trattava di percorrere una nuova strada, ma eravamo animati da una grandissima energia. E devo dire che quella energia non è mai venuta meno, ma al contrario è progressivamente cresciuta, alimentata anche dall’entusiasmo dei nostri artisti, sia di quelli già presenti sin dall’avvio che di quelli che via via si sono aggiunti.

Sei soddisfatta dei risultati ottenuti nel nome dell’arte accessibile?

Sì. La mia idea era dare visibilità e mercato agli artisti emergenti, e credo di aver colto nel segno decidendo di investire sul talento. È una grande soddisfazione notare che nel tempo ci sono state tante adesioni. Oggi con Cinquerosso Arte collaborano artisti giovanissimi e altri con maggiore esperienza, persone che vivono d’arte e altre che nell’arte hanno trovato una strada parallela per esprimersi. In ogni caso la qualità delle opere è straordinaria, come è possibile notare scorrendo la nostra galleria.

Ci sono episodi che ricordi con particolare piacere?

Sono tanti, è impossibile elencarli tutti. Sicuramente la partecipazione ad alcuni importanti eventi fieristici, entusiasmante sotto molti punti di vista. Per una realtà appena nata come la nostra è stato di grande impatto partecipare a Parigi ad un evento di respiro internazionale come Maison et Objet. Abbiamo preso parte al Sia di Rimini, la fiera dedicata all’ospitalità, dove, tra l’altro, abbiamo avuto il privilegio di fare la conoscenza di Marcello Ceccaroli, un architetto di grande peso nel mondo dell’hôtellerie. Siamo stati, inoltre, tra coloro che hanno animato Artefiera White Night 2023, in occasione della prestigiosa fiera dell’arte di Bologna, con un’apertura straordinaria dei nostri spazi ed un live painting di grande impatto emotivo che ha raccolto tanto interesse.

Ancora, posso citare con grande soddisfazione il fatto di essere stati contattati da Ennismore, una società internazionale che cura e gestisce prestigiosi hotel in diversi Paesi, interessata alle nostre opere per arredare una elegante struttura di prossima inaugurazione. E infine, per arrivare alla più recente novità, siamo diventati partner di AIPI – Associazione italiana professionisti interior designers. Questa collaborazione dispiega tante possibilità, e ne siamo ovviamente molto orgogliosi.

Insomma, appena nato, Cinquerosso Arte ha già fatto tanta strada. Qual è il prossimo obbiettivo?

In questo anno abbiamo gettato le fondamenta, coinvolgendo tanti artisti e stringendo molti contatti. Ora puntiamo a consolidare il nostro brand, a posizionarci come interlocutori affidabili nel settore dell’architettura e dell’arredamento. Ci rivolgiamo soprattutto ai professionisti, perché siamo convinti che le opere d’arte rappresentino un grande valore aggiunto nella progettazione di un ambiente.

La nostra missione rimane duplice: favorire il talento e portare sempre più arte nella vita delle persone. Mi emoziona pensare che le opere dei nostri artisti entrino in una casa, nella hall di un grande albergo, nelle sale riunioni di un ufficio… insomma in un luogo vissuto e frequentato che attraverso l’arte diventa più vivo. Non un semplice spazio arredato, ma un ecosistema in cui convivono funzionalità e bellezza.

Guarda il video!

Andrea Piccioli Arte

Andrea Piccioli – L’arte per me è soprattutto relazione

Giovanissimo, Andrea Piccioli ha già alle spalle una storia densa e ricca di avventure, in cui l’arte dà volto alle emozioni, crea legami e fa nascere sempre qualcosa di nuovo.

Come sei arrivato all’arte?

Ho iniziato a disegnare fin da piccolissimo, anche perché era l’unico modo che i miei genitori avevano trovato per tenermi buono. A 8 anni sono stato colpito da una malattia autoimmune e ho dovuto passare un anno in ospedale; in quel periodo l’arte mi ha aiutato tantissimo: disegnavo, leggevo, ascoltavo musica, guardavo film. È stato allora che mi sono innamorato di Miyazaki e ho iniziato a sognare di scrivere e illustrare storie. Non ho più smesso di disegnare e lo faccio in continuazione, o come attività in sé o come semplice passatempo, magari mentre sono in un locale con gli amici. Si può dire che lo faccia per professione da quando ero un bambino, perché già alle medie ho venduto alcune opere.

Hai seguito una formazione specifica?

Ho studiato al liceo artistico, e così ho potuto conoscere il mondo dell’arte e sviluppare le diverse tecniche. Passavo i fine settimana a disegnare e dipingere per strada con uno dei miei più cari amici. Mettevamo un po’ di musica e realizzavamo dei disegni, anche in collaborazione. Li vendevo poi a offerta libera, perché non riuscivo a valutare i miei lavori e quindi chiedevo agli altri di farlo. Mi sono confrontato con il mondo e ne ho ricevuto un grande incoraggiamento, ho conosciuto tante persone nuove che ancora oggi fanno parte della mia vita. Da lì ho ricevuto incarichi per murales, serrande, eventi, esposizioni e performance dal vivo. Queste ultime mi appassionano molto, perché mi interessa soprattutto il rapporto con l’altro. Nel periodo dell’adolescenza ho iniziato a crearmi una mia estetica sempre più definita, in una ricerca che ovviamente continua ancora. In quel periodo ho iniziato a lavorare sui volti, che rappresentavano i miei stati d’animo, l’insieme delle emozioni che provavo. Cerco, insomma, di dare un volto al mio sentire, per avere con esso un rapporto più reale.

L’arte è quindi centrale nella tua vita.

Sì. L’arte mi definisce. Sento la necessità di esprimermi attraverso l’arte, e questo mi porta a vivere esperienze molto cariche di significato. Dopo il liceo, per esempio, sono partito e sono andato su un’isola del Canada grande come la Corsica ma abitata appena da 5000 persone. L’idea era di soggiornare per un breve periodo e poi riprendere il viaggio, ma mi sono trovato nel bel mezzo della pandemia. Tutti i collegamenti sono stati interrotti e ho trascorso lì diversi mesi. All’inizio lavoravo come aiuto cuoco e giardiniere, ma poi le persone del posto hanno iniziato a conoscermi e ad apprezzare quello che facevo. Su quell’isola vivono in armonia diverse comunità: ci sono famiglie di indigeni, ma anche americani, europei, asiatici e africani. L’isola mi ha accolto, e ho passato il resto della mia permanenza a realizzare opere per la comunità e per i privati. Tra le altre cose ho aiutato a costruire un rifugio nella foresta, per cui ho decorato stanze, cucina, porte…

Un’esperienza indimenticabile.

Assolutamente. Da solo, dall’altra parte del mondo, sono riuscito a comunicare e creare un rapporto con queste persone proprio grazie all’arte. Del resto la mia concezione dell’arte è molto vicina all’estetica relazionale di cui parla Nicolas Bourriaud. Mi interessa il rapporto tra arte e vita, tra arte e umanità.

Come si inserisce Cinquerosso Arte in tutto questo?

Anche in questo caso nasce tutto da una relazione, perché sono arrivato a Cinquerosso Arte grazie a un amico. Ringrazio lui e Francesca per avermi fatto entrare in questa squadra, perché mi ha permesso di avvicinarmi di più al panorama artistico italiano. Finora ho sempre “lavorato dal basso”, nelle strade, nei centri sociali, nei festival. Il fatto di avere stampe delle mie opere in questo nuovo contesto è per me una grandissima opportunità.

Scopri le opere di Andrea Piccioli!

Ogni casa è un concerto – Intervista a Nicola Grandolini, Vicepresidente AIPI

Cinquerosso Arte è entrato a far parte dell’AIPI, Associazione Italiana Professionisti Interior Designers. Nicola Grandolini ci spiega perché è così importante comprendere le opere d’arte nei progetti d’arredo.

Di che cosa si occupa la vostra organizzazione?

L’AIPI esiste da oltre 50 anni ed è l’unica nel nostro Paese a rappresentare questa categoria. Spesso la figura dell’interior designer viene confusa con quella dell’arredatore, ma in realtà si tratta di una professionalità specifica. Noi ci preoccupiamo della qualità della vita delle persone, a partire dagli spazi in cui vivono o che si trovano a frequentare.

Qual è il ruolo dell’interior designer?

Intanto bisogna precisare che è una figura a sé stante, con competenze più specifiche rispetto a un architetto. Un po’ come per la medicina: c’è la medicina generale e poi ci sono gli specialisti. Noi siamo gli specialisti degli interni. Non abbiamo la direzione del cantiere come gli architetti, ma abbiamo la direzione concettuale e creativa del concept degli interni. Il nostro approccio, quindi, si basa sulla collaborazione con impiantisti, artigiani, professionisti e tutti i tecnici coinvolti nel progetto. È un lavoro necessariamente di squadra. Pensiamo a un grande architetto come Gaudí: non avrebbe mai potuto realizzare quello che ha realizzato senza poter contare su bravissimi collaboratori quali ebanisti, fabbri etc.

Parlando di collaborazioni, Cinquerosso Arte è appena entrata a far parte della vostra organizzazione. Che cosa ne pensa?

Siamo felici di avere il contributo di Cinquerosso Arte. Abbiamo bisogno di partner, e poter sviluppare un progetto insieme a Cinquerosso Arte significa poter avere nella squadra anche gli artisti, che hanno il potere di creare emozioni dentro altre emozioni. Un interior designer può scegliere un’opera in sintonia con il progetto che ha in mente, ma può accadere anche il contrario: si può partire da un’opera d’arte, dalle emozioni che esprime, e intorno a essa costruire il concept di uno spazio.

Dunque è importante tenere conto dell’arte nell’immaginare un arredamento?

Certamente. Un interior designer ha il compito di organizzare gli ambienti intorno al benessere delle persone che li abitano e li frequentano, dalla casa alla scuola, dalla sala conferenze all’ospedale. Ed è qualcosa che ha una grande importanza nella vita di ognuno di noi. Non a caso abbiamo tra i nostri collaboratori anche degli psicoterapeuti. Un ambiente non armonioso risulta nocivo. Il Covid ha costretto tutti a riflettere su questo tema, perché in tanti si sono ritrovati chiusi in abitazioni “scomposte”, non organizzate per garantire il benessere. Pensiamo a una casa. Se vogliamo che una persona arrivi a dire “Sto davvero bene in questo ambiente”, dobbiamo tenere conto delle sue abitudini ma anche delle sue emozioni. Ecco perché è importante includere anche l’arte e farlo in modo organico. L’ingresso di Cinquerosso Arte nella nostra associazione ci permetterà di avere a disposizione tante opere d’arte, tanti stili e tante visioni, e di sviluppare collaborazioni a beneficio dei clienti.

Come si svolge il vostro lavoro?

Noi siamo i sarti che devono realizzare il vestito giusto per il cliente, un vestito nel quale si senta a suo agio. Si parte sempre da un approfondito dialogo con cliente per capire quali sono le sue necessità, le sue preferenze e il suo modello di vita. In sintesi, partiamo dal dialogo con il cliente, collaboriamo con tanti professionisti supervisionando il lavoro di tutti, per assicurare il benessere delle persone. 

Una casa, un ospedale, una scuola, un albergo, un ufficio… insomma, qualsiasi ambiente è un concerto, e noi interior designers siamo i direttori d’orchestra. 

Quali sono i compiti della vostra organizzazione?

Come associazione siamo attivi non solo nella tutela di questa figura professionale, ma anche nel creare collaborazioni e sinergie. Per esempio, siamo soci fondatori del POLI.design del Politecnico di Milano, collaboriamo con scuole ed università nostre associate quali lo Iuav di Venezia. I nostri iscritti lavorano in Italia e in tutto il mondo, e ovviamente abbiamo collaborazioni attive a livello internazionale. Abbiamo appena organizzato, per esempio, una convention a Firenze con Ifi (International Federation of Interior Architects/Designers) ed Ecia (European Council of InteriorArchitects).

Abbiamo creato di recente un comitato tecnico-scientifico per lo sviluppo e la qualifica della figura dell’interior designer a livello europeo. Altra novità degli ultimi tempi è l’iscrizione al Mise, presso il Ministero delle imprese e del Made in Italy, in seguito alla quale abbiamo assunto anche un ruolo attivo nella formazione. Ora dobbiamo costruire percorsi di approfondimento e aggiornamento, e possiamo farlo anche grazie alle università che iniziano a offrire corsi di laurea in interior design.

Maria Paola Grifone – La realtà mi interroga

Si definisce permeabile, Maria Paola Grifone. Permeabile a tanti stimoli, da un’ombra su un muro a una notizia di attualità, che sente il bisogno di indagare attraverso l’arte. Dipingere per conoscere, dunque, come spiega con parole limpidissime.

Maria Paola, puoi raccontarci il tuo percorso?

Ho fatto il liceo artistico tradizionale, dove ancora si disegnava tanto, e forse per questo sono così legata alla copia dal vero. In seguito ho frequentato un corso per fashion designer, ma mi sono resa conto che mi interessava più l’illustrazione di moda che non la realizzazione di modelli, e ho deciso di iscrivermi all’Accademia di belle arti. Qui ho frequentato il corso di pittura e ho avuto modo di approfondire la mia identità artistica, anche attraverso le mostre e tutto quello che girava attorno a quell’ambiente.

Quali tecniche usi solitamente?

Dipende molto dai periodi. Le diverse tecniche che utilizzo sono accomunate dall’immediatezza esecutiva. Quindi, ad esempio, la china su carta lucida mi permette un’esecuzione diretta; non ho bisogno di fare bozzetti o studio del soggetto, quello che succede sulla carta è il frutto di un flusso continuo tra me, il soggetto stesso e quello che utilizzo per rappresentarlo, in questo caso la china. In quest’ultimo periodo sto utilizzando carboncino, fusaggine, grafite in polvere su carta oppure tela preparata. Diciamo che utilizzo degli estremi di materia: la china è molto liquida, e scivola sulla carta, mentre la polvere di grafite, oppure il carboncino, sono materiali secchi, cioè l’esatto opposto. Non ho ancora capito se c’è un motivo per questo mio passare da un estremo all’altro. In ogni caso per me la tecnica non può essere distinta dal contenuto. Se uso l’olio o l’acrilico, per esempio, è perché quello che voglio esprimere può essere espresso solo con l’olio o l’acrilico. Questo gioco di “opposti” mi ha portato all’essenzalità del bianco e nero, diventato indispensabile per la mia esigenza espressiva. È un contrasto che fa emergere le contraddizioni più umane: la vita e la morte, la luce e il buio… tutto ciò che siamo.

Quali sono le tue fonti di ispirazione?

Non è semplice rispondere a questa domanda. Diciamo che le sto pian piano scoprendo, ne sto prendendo consapevolezza. L’ispirazione la trovo osservando la realtà, a partire dagli oggetti, o dai volti, per esempio. Ho fatto dei lavori sulle ombre che si formano sui muri, per fare un altro esempio. Ho capito che quando il mio sguardo si posa su qualcosa devo indagare.

Ultimamente sono attratta da tematiche di attualità, per cui sto lavorando sulla guerra e sulla sofferenza. In questo caso le mie fonti sono i media, dai giornali al web. Cerco e guardo immagini a non finire, ovunque.

Mi sono di ispirazione anche la musica – che ascolto quotidianamente – i video musicali, o i film. Perfino una conversazione o un articolo possono essermi di stimolo, magari per riflettere poi su un aspetto sociale o psicologico. Sono molto permeabile. Mi piace guardare, mi piace ascoltare, e se qualcosa mi colpisce sento l’esigenza di approfondirla e rappresentarla. 

Attualmente su cinquerossoarte.com ci sono Le forme nascoste, Equilibrio, Dentro di me e Vaso nero. Cosa puoi dirci di queste opere?

Sono oggetti rappresentati dal vero, con cui ho un legame affettivo. Hanno in comune il fatto di essere contenitori. Non sono vuoti, insomma. Mi piaceva giocare – ancora una volta – con gli opposti: il pieno e il vuoto in uno spazio bianco, quasi eterno, senza connotati. La tecnica che ho utilizzato, la china su carta fotografica, mi ha permesso di ottenere quell’immediatezza di cui parlavo. È un non-controllo che lascia spazio a ciò che liberamente accade mentre dipingo, anche quando si tratta di “errori”: spesso sono proprio questi a sorprendermi e a portare l’immagine dove voglio. È una tecnica di realizzazione, ma è anche una metafora della vita che funziona proprio così, per imprevisti e sbavature.

A cosa stai lavorando in questo momento?

In questo periodo sto indagando un tema molto caldo, cioè il rapporto tra uomo e tecnologia. Quello che sento emergere e che rappresento è un’umanità che, di fronte alla complessità, cerca una via di fuga. Sono figure immerse in un vuoto fisico, con tanto bianco che sottolinea questa distanza tra noi e la realtà. Presto le vedrete su cinquerossoarte.com.

Scopri le opere di Maria Paola Grifone!

Riccardo Basaglia

Riccardo Basaglia – Disegno per conoscere

L’arte è, per Riccardo Basaglia, un modo per scoprire cose nuove. I suoi disegni nascono dal confluire di temi e culture, ma anche di tecniche e strumenti. La sua è una mente curiosa e aperta, oltre che creativa. Ne risultano opere ricche, quasi esplosive nella loro vitalità.

Riccardo, raccontaci il tuo percorso formativo. Come ti sei avvicinato all’arte?

Sono completamente autodidatta e non ho più ricevuto un’istruzione artistica dopo le scuole medie. Fino a quel momento avevo frequentato scuole steineriane, dove i bambini sono molto stimolati a esprimersi artisticamente, ma con il passaggio al liceo ho proseguito da solo. Non ho mai avuto nessuno che mi seguisse, che mi potesse indirizzare o consigliare. Tutte le tecniche che uso, per esempio, le ho imparate da tutorial online. In un primo momento usavo gli acquarelli e i miei soggetti erano principalmente paesaggi ed elementi naturali, poi mi sono avvicinato agli acrilici che hanno un impatto più potente sul foglio, e ho finito per mischiare entrambe le tecniche.

Nella formazione di un artista contano, ancora prima delle tecniche, la cultura e le fonti di ispirazione. Quali sono le tue?

Le fonti di ispirazione non mi sono mai mancate, per fortuna. Inizialmente mi ispiravo soprattutto alla natura, come dicevo, mentre in seguito ho maturato un interesse crescente per la tecnologia. Venendo da una scuola steineriana, per me è stata una specie di rivelazione che è arrivata al liceo: non avevo mai visto una lavagna elettronica, per esempio! Questo avvento della tecnologia nella mia vita ha avuto effetti sui miei disegni. Come per le tecniche, anche nel caso dei soggetti ho cercato di unire due ambiti diversi: i contesti naturalistici e gli elementi tecnologici. C’è un po’ la tendenza a dividere le opere diciamo “manuali” e quelle ottenute con ausili tecnologici. Invece io cerco di far convivere tutto, in particolare con l’opera a cui sto lavorando in questi giorni. Ho disegnato un paesaggio naturale, poi l’ho scannerizzato e ho aggiunto file digitali: un’operazione possibile solo unendo i due approcci. Il risultato mi soddisfa. Il mio obbiettivo è realizzare opere di questo tipo, in cui però l’aspetto tecnico non dia troppo nell’occhio: voglio opere armoniose, piacevoli.

In fondo anche la tecnologia è frutto della creatività umana.

Esatto. Anzi, oggi lo sviluppo dell’intelligenza artificiale rende sempre più complicato capire quanto sia frutto diretto del lavoro umano e quanto invece venga prodotto da un programma (non più solo tramite un programma). Secondo me non bisognerebbe distinguere in modo così netto. L’intelligenza artificiale può essere usata come strumento per portare a compimento un’idea, bisogna imparare a usarla. Di umano c’è appunto l’idea, che non viene delegata allo strumento.

A proposito di idee, tu attingi a un immaginario molto vasto…

Su di me ha avuto molta influenza la cultura giapponese, che è molto interessante proprio perché così differente dalla nostra. Anche in questo caso ho cercato una possibilità di incontro, fondendo elementi che provengono da culture diverse e ricercando simbologie affini alla cultura occidentale. Il cyberpunk trae spunto proprio dalle città più sviluppate in Asia dove, in uno scenario futuristico distopico, il controllo della tecnologia è sfuggito di mano e la natura è quasi assente. L’effetto di immersione che cerco di trasmettere con i miei disegni è volto ad una ricerca di una possibile comunione tra tecnologia e natura che renda possibile uno sviluppo tecnologico sostenibile in un futuro ideale. Ho poi scoperto che esistono diversi sottogeneri del cyberpunk, e questo mi ha stupito. Ecco, i miei disegni nascono da scoperte e mi spingono a scoprire sempre cose nuove. Adesso per esempio sto studiando il carboncino, qualcosa di lontano da quello che ho fatto finora. È la curiosità che mi muove. Mi piace conoscere, imparare e immaginare.

Scopri le opere di Riccardo Basaglia!

Architetto Marcello Ceccaroli

Marcello Ceccaroli – L’albergo si apre alla città e all’arte 

Decine di grandi alberghi in Italia portano la firma di Marcello Ceccaroli, noto architetto romano che viaggia per il mondo alla ricerca di nuove suggestioni. Un settore, quello dell’hôtellerie, che sta cambiando anche nel segno dell’arte.

Il suo studio è specializzato in hôtellerie. Come mai questa scelta?

È un percorso iniziato subito dopo la laurea, nel 1994, quando mi sono trasferito in Brianza per lavorare con un’azienda che operava in questo settore. Si trattava di alberghi di altissimo livello, quasi tutti a cinque stelle. Lì ho imparato tanto, partendo dal basso e arrivando al project management. Nel 1999 ho aperto il mio studio a Roma, e da allora abbiamo realizzato oltre 130 strutture, tra alberghi e ristoranti, in Italia.

Qual è l’aspetto che l’appassiona di più di questo lavoro?

Sono finito nel mondo dell’ospitalità quasi per caso, ma l’ho trovato davvero molto affascinante. Sicuramente mi stimola da un punto di vista professionale, perché il settore hôtellerie è sempre in espansione e dà molta visibilità: un conto è realizzare un’abitazione privata, un altro conto è mettere la propria firma sul progetto di un albergo, frequentato da tantissime persone.

Inoltre è un mondo in continua evoluzione, con prodotti innovativi che aprono la strada a molte sfide. Basti pensare che un tempo il mio studio si occupava solo di interni, mentre oggi ci chiedono una progettazione completa: location, progetto architettonico, strutturale, impiantistico e arredamento. Amo talmente tanto il mio lavoro, che ho trasformato le mie vacanze in un’occasione per imparare sempre di più: viaggio con la mia famiglia per visitare gli alberghi più interessanti di tutto il mondo, così mi tengo sempre aggiornato e ispirato.

Che cosa è cambiato in questi anni nel settore?

Trenta, trentacinque anni fa, l’albergo era un edificio chiuso, il cui business era limitato alla clientela. Oggi gli alberghi si sono aperti alla città, organizzano e accolgono sfilate di moda, mostre, ricevimenti, eventi. I ristoranti degli alberghi, che prima non venivano presi in considerazione da clienti esterni, oggi sono importanti punti di aggregazione.

C’è anche un cambiamento in atto in Italia, che arriva per ultima in questo: un tempo gli alberghi nel nostro Paese erano quasi tutti gestiti da privati, mentre oggi si stanno diffondendo le grandi catene, come già avviene all’estero.

Parlava di mostre. Dunque c’è spazio per l’arte negli alberghi?

Sì, certamente. Gli alberghi possono ospitare esposizioni temporanee nelle hall, e questo è uno dei modi in cui l’arte può entrare in questo settore.

Ma c’è spazio per anche in fase di progettazione. Per esempio, di recente abbiamo realizzato un albergo nei pressi della Stazione Termini, a Roma, e in questa occasione ci siamo rivolti al noto sculture Jago, che ha realizzato una serie di opere appositamente per noi. Inserisco spesso opere d’arte nei miei progetti, perché in questo modo l’ospite dell’albergo potrà goderne durante il suo soggiorno.

A questo proposito, cosa pensa del progetto Cinquerosso Arte?

Devo dire che mi piacerebbe collaborare. Ho visto opere davvero molto interessanti, e prima o poi vorrei inserire dei pezzi nei miei progetti perché potrebbe essere un bellissimo connubio. Quando progetto un albergo, mi ispiro tantissimo alla location: mi piace pensare di poter trovare opere che diano un valore aggiunto coerente con questa ispirazione, che diano carattere e riconoscibilità.

L’albergo ha solo da guadagnare nel poter esibire un’impronta artistica. Io stesso, nei miei viaggi, sono felice quando un albergo mi dà emozioni, e cosa c’è di più emozionante dell’arte?

Siamo a ridosso del Salone del Mobile di Milano, un evento molto importante per chi fa il suo mestiere. Sarete presenti?

Abbiamo due progetti che vorremmo esporre. Uno sarà ospitata in uno stand sperimentale, mentre l’altro è una vera e propria camera d’albergo, ma non posso dire di più perché sono sorprese riservate alla fiera.

Andrea Marchesini

Andrea Marchesini – L’arte è viaggio

Un’arte che nasce libera e spazia nel pensiero, muovendosi tra elaborati concetti e sensazioni impalpabili. Andrea Marchesini ha iniziato il suo percorso su un grande tavolo ricoperto di carta e lo prosegue “da qualche parte, da nessuna parte”.

Qual è la prima parola che ti viene in mente pensando alle tue opere d’arte?

Me ne vengono in mente molte, ma alla fine quella che le condensa tutte è “viaggio”, intenso come percorso interiore. Un viaggio dove non conta la meta, non conta arrivare. Quello che conta sono le tappe. Un po’ come una carovana nel deserto, che beneficia delle oasi per poter proseguire all’infinito. Tutto questo è in funzione dello sviluppo di un pensiero creativo, che cerca risposte alle domande che da sempre ci poniamo.

Ecco che cos’è per me la pittura: la conseguenza di un pensiero, un modo di vivere, specchio dell’artista stesso.

Da cosa parte la tua azione creativa?

Il mio è un costante flusso di “coscienza” alla Joyce composto da infiniti flashback che fanno apparire immagini a cui cerco di dare un senso. I miei quadri non sono dipinti tradizionali, sono creazioni: c’è molta parte di colore, molta parte di tessile, ma anche materiali quali gesso o stucco. L’opera finisce quando trovo un equilibrio tra la mia interiorità e l’armonia di forma, colore e peso dell’opera stessa. Quando i lavori sono in fase terminale, ma manca ancora un “quid”, li dispongo a semicerchio davanti al divano del mio studio, mi siedo e li osservo nel più completo silenzio. Sostanzialmente familiarizzo con le mie stesse opere, finché non capisco come completarle per raggiungere l’equilibrio di cui parlavo.

Puoi farci un esempio di come nasce un dipinto o un progetto artistico?

Prendiamo la serie di opere “Frankenstein 2.0”. Quei dipinti sono nati da una mia riflessione: l’umanità, per poter evolvere e passare quindi a uno stadio successivo, deve prima destrutturarsi – come in un puzzle – e poi ricomporre quelle stesse tessere in ordine diverso. Il mostro di Mary Shelley in realtà non è altro che un passo positivo nell’evoluzione dell’umanità, un gradino più in alto. Ed ecco che per realizzare queste opere ho preso vecchi lavori lasciati incompiuti, ne ho ritagliato dei pezzi a cui ho dato nuova forma e li ho ricomposti applicandoli su nuove tele, per ottenere un unicum. Lo stesso avviene per i colori. Io uso olio, smalti e acrilici. Olio e smalto sono basi sintetiche, mentre l’acrilico è base acqua: sono quindi sostanze che si respingono. Anche in questo caso cerco l’armonizzazione tra opposti.

Più che dipingere, io creo. Per indole sono contro il pensiero unico a favore dell’individualità e della libertà dell’azione creativa. E questo si evince anche dall’ambiente in cui lavoro. Il mio studio si trova isolato tra campi di grano e vigneti, nella più assoluta tranquillità. All’interno invece è una sorta di laboratorio alchemico, un enorme caos in cui – per muoversi – bisogna aprirsi una via tra libri, quadri, oggetti, colori, burattini, maschere… Questo è il mio rifugio, la mia sicurezza. Da spazio creativo è diventato sostanzialmente un luogo, che è una cosa ben diversa. È il mio “Somewhere-Nowhere”, che peraltro è il nome del progetto a cui sto lavorando in questo momento.

Di che cosa si tratta?

“Somewhere-Nowhere” è il titolo di una mostra che sto preparando per la galleria MA-EC di Milano e che aprirà al pubblico nel mese di maggio. Nelle opere che sto realizzando mi ispiro alla mia Isola che non c’è, che è “da qualche parte” ma anche “da nessuna parte”.

Puoi raccontarci brevemente la tua storia artistica?

Io sono figlio d’arte e sono praticamente cresciuto nell’atelier di mia madre. Mi sono formato, più che nelle accademie, nel vivo di uno studio artistico. A questo proposito c’è un ricordo che amo raccontare. Quando io e mia sorella avevamo 4 o 5 anni, mia madre ci metteva a disposizione un lungo tavolo coperto interamente di carta, ci buttava sopra pennarelli e matite e ci diceva: «Adesso divertitevi». Così io  passavo le giornate a disegnare e colorarne ogni centimetro. È qualcosa che ha influito sulla mia evoluzione, tanto che ora prediligo lavorare sul grande. Quella libertà creativa, quello spazio infinito da riempire… sono ancora dentro di me.

Scopri le opere di Andrea Marchesini!

Mauro Sini fotografia

Mauro Sini – Fotografare per delimitare il vuoto

Appassionato di architettura, Mauro Sini ricerca anche nella fotografia linee essenziali, forme nette e precise. È uno studio sullo spazio, da esplorare assecondando il proprio ritmo interiore.

Mauro, come sei approdato alla fotografia?

Ci sono arrivato relativamente tardi, a 34 anni. In precedenza, essendo molto attratto dall’architettura, avevo iniziato un percorso di studi universitario che ho poi abbandonato. Quello per la fotografia è un amore sbocciato da bambino, quando ho avuto la fortuna di ritrovarmi tra le mani una vecchissima macchina fotografica dei primi del Novecento, che mi ha aperto un mondo. Poi quell’amore è stato lasciato e ripreso fino a quando, all’età di 34 anni, ho deciso che da grande volevo fare il fotografo. In questo passaggio sono stato aiutato dai miei due maestri; uno è Flavio Renzetti, scultore e pittore, l’altro è Massimo Costoli, fotografo. Massimo, in particolare, mi ha aperto la mente e ha cambiato il mio modo di pensare e vedere fotograficamente. Insomma, grazie a lui ho scoperto chi è il Mauro Sini fotografo. Da allora ho iniziato una carriera come fotografo di abbigliamento e di interni, e parallelamente porto avanti la mia ricerca artistica.

L’architettura è rimasta nella tua vita, visto che i tuoi soggetti sono spesso edifici.

Sì, la fotografia di architettura è per me quasi una necessità, perché ricerco linee, pulizia. Spesso escludo volontariamente la figura umana, se non ha un senso nel contesto che sto fotografando. Il mio è un amore per lo studio dello spazio, che del resto è la stessa cosa che mi ha sempre affascinato nell’architettura. Quello che faccio nelle mie fotografie è tentare di delimitare il vuoto, ritagliare spazi all’interno di un vuoto attraverso il mio personalissimo punto di vista.

Poi ci possono essere progetti particolari come Mitoraj, che ho realizzato a Pompei, dove c’è la figura umana ma nella forma sublimata delle statue.

In ogni caso la mia creatività si esprime così, nel togliere più che inserire qualcosa nel frame del fotogramma. Anche nei paesaggi, in effetti, ricerco linee ed essenzialità.

Usi anche il colore o preferisci il bianco e nero?

Uso il colore solo quando il bianco e nero non valorizza l’immagine. E se nel bianco e nero sfrutto i contrasti, i colori sono sempre piuttosto scuri perché tendo a spegnerli. Insomma, nelle mie fotografie il colore c’è raramente, e quando c’è è comunque denso, mai brillante.

Del resto le fotografie che scatto per lavoro sono sempre a colori, e spesso a tinte molto vivide. In un certo senso il bianco e nero è la mia nicchia, il mio rifugio, dove tutto funziona come voglio e che riesco a leggere al mio ritmo.

Qual è il tuo metodo? Procedi seguendo un piano o ti lasci guidare dall’ispirazione?

A parte alcuni progetti specifici come Mitoraj, mi lascio guidare da quello che vedo. A volte vado a cercare dei luoghi che mi incuriosiscono. Fotografo quello che vedo, e avendo sempre viaggiato per lavoro mi ritrovo spesso in posti che offrono ispirazione e in cui magari ritorno per scattare con calma. Adesso per esempio sto lavorando a fotografie di archeologia industriale realizzate in un rudere dell’Argentario, dove ho intenzione di tornare per fotografare gli stessi luoghi in diverse ore della giornata. Questo è un progetto piuttosto strutturato, ma spesso i miei scatti sono casuali: passeggio e vengo colpito dalla proiezione di un’ombra, da un riflesso o dalla luce che attraversa una finestra.

Scopri le opere di Mauro Sini!

paola fotografa corpo femminile

Paola Stefanizzi – Universo donna

Fotografa professionista specializzata nella moda, in campo artistico Paola “sveste” il corpo femminile e lo rappresenta nella sua purezza.

Paola, raccontaci la tua formazione come fotografa.

Ho iniziato da adolescente, con gli studi all’istituto d’arte. Dopo la scuola lavoravo come assistente in uno studio fotografico, cercando di “rubare” i segreti del mestiere. Ho poi frequentato l’Istituto europeo di design di Roma, e per un periodo ho accarezzato l’idea di dedicarmi alla professione di reporter, ma poi ho capito che non faceva per me. Contemporaneamente continuavo a lavorare come assistente in vari studi fotografici, affiancando la formazione accademica all’esperienza sul campo, e infine sono approdata a Bologna dove mi occupo ormai da diversi anni di cataloghi di moda. Del periodo della mia formazione ricordo che mi piaceva moltissimo sviluppare e stampare il bianco e nero, e ho passato tantissimo tempo in camera oscura, sperimentando. Mi è sempre sembrata una magia quello che avveniva là dentro: la pellicola fotografica catturava quello che c’era nel mondo e lo restituiva sulla carta.

E come ti sei trovata con il passaggio al digitale?

Ovviamente è tutto molto diverso. Per lavoro uso tantissimo i programmi per la postproduzione, che consentono di ottenere in brevissimo tempo quello che una volta richiedeva giornate intere. Senza considerare che prima avevamo pochi scatti a disposizione, mentre oggi possiamo farne un’infinità. Venendo dalla scuola dell’analogico, cerco di scattare poco perché per me è un problema dover scegliere tra le tante versioni della stessa immagine. E nelle fotografie che faccio a scopo creativo non intervengo con il fotoritocco se non in minima parte. Di solito l’unico intervento consiste nel passaggio al bianco e nero.

Parlaci della tua arte, dunque.

Negli anni ho sperimentato diversi temi, ma oggi mi concentro sulla rappresentazione del corpo femminile. Immagini di donne, quindi, spesso in bianco e nero, con i contrasti accentuati e molte ombre. Non sempre è visibile il viso, perché mi interessa di più il rapporto tra il corpo e l’ambiente. Inoltre mi piace lavorare con il movimento e con vari tessuti per creare composizioni.

Spesso espongo le mie fotografie in mostre che sono legate a tematiche o a giornate particolari, come la Festa della donna o la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, a volte in collaborazione con enti pubblici.

Chi sono le donne che fotografi?

A volte fotografo modelle, ma più spesso persone vicine a me. Mi capita anche di fotografare me stessa perché è più facile e immediato. Ovviamente il coinvolgimento emotivo è diverso, perché come soggetto fotografato provo un certo tipo di sentimenti che vorrei poter trasmettere allo spettatore; mi piace pensare che le emozioni che provo possano arrivare a chi guarda le mie foto. Ma quello che mi preme è il racconto della figura femminile, qualcosa che va oltre la persona.

Scopri le opere di Paola Stefanizzi!

Chiara Castelli

Chiara Castelli – Serve una cultura dell’arte, anche per l’interior design

Architetto e designer, Chiara Castelli ama instaurare con i clienti un rapporto di intimità e fiducia. Ascolto ed esperienza sono dunque i requisiti indispensabili per un arredamento dalla forte personalità.

Chiara, ci può descrivere il suo lavoro?

Be’ intanto posso dire che sono innamorata del mio lavoro. Il mio tempo libero lo dedico a cercare oggetti, materiali, idee. Sono laureata in architettura al Politecnico di Milano, ma mi occupo principalmente di architettura d’interni; essendo cresciuta in una famiglia di mobilieri ho sempre avuto a che fare con l’arredamento. Come architetto in effetti sono un po’ atipica perché ho un negozio di arredamento dove vendo sia i mobili disegnati da me, sia pezzi unici o comunque non prodotti in serie. La mia filosofia è infatti no logo. Il cliente che viene da me non cerca una marca, ma vuole qualcosa di distintivo, che abbia la mia impronta e sia frutto della mia selezione. Seguo quindi il cliente in ogni aspetto del progetto, dalla disposizione degli ambienti alla scelta dei tessuti e degli oggetti di arredo.

Nei miei lavori prediligo i colori caldi e do grande importanza ai materiali; uso moltissimo, per esempio, i metalli ossidati. Cerco di rimanere in linea con le tendenze, ma sono piuttosto eclettica e preferisco mischiare, dai pezzi di design a oggetti di antiquariato. In linea generale mi ispiro allo stile decorativo francese, per cui non sono certo “asciutta”, ma nel disegnare i miei pezzi scelgo sempre linee molto essenziali.

Qual è la parte che le piace di più di un progetto?

Devo dire che mi piace tantissimo il rapporto che si crea con il cliente. Entro nella vita delle persone, nelle loro case, in modo molto intimo. Vengo a sapere come la gente vive, quali sono le abitudini della famiglia, e spesso mi ritrovo a fare un po’ da psicologa. Nel tempo ho imparato ad ascoltare, a gestire anche alcune dinamiche che si creano per esempio tra marito e moglie, e quindi a offrire le mie idee. Amo questo aspetto del mio lavoro perché da me arriva la giovane coppia che sta per andare a vivere insieme per la prima volta, così come la coppia più matura che ha un altro tipo di atteggiamento e di bisogni. Ed è bello entrare nel loro mondo. La sfida è capire che cosa vuole chi ho davanti e cercare di filtrarlo con le mie scelte: per me il cliente non ha sempre ragione, e non lo assecondo se penso che le sue idee abbiano dei difetti.

Che ruolo ha l’arte nel suo lavoro, e cosa pensa di Cinquerosso Arte?

Do un grandissimo peso alle opere d’arte e più in generale a quanto finirà sulle pareti, per un semplice motivo: la prima cosa che le persone sbagliano nell’arredare le loro case sono i quadri. Ci sono clienti che sono appassionati d’arte e magari vogliono costruire il progetto di arredo proprio intorno alle opere, ma nella maggior parte dei casi le persone non hanno una sensibilità artistica. Per un interior designer, quindi, la difficoltà consiste nel coniugare il gusto personale del cliente con la necessità di non rovinare tutto con brutte opere alle pareti.

Per questo trovo molto interessante il progetto di Cinquerosso Arte, che offre a chi fa il mio mestiere opere di qualità a prezzi compatibili con qualsiasi tasca.

Certo, vedo delle difficoltà, soprattutto perché non è semplice far capire l’arte attraverso il canale digitale, e più in generale manca una vera e propria cultura che permetta di far riconoscere il bello. Bisogna costruirla.

Silvia Lisotti

Silvia Lisotti – La fotografia è la mia seconda vita

Viaggiatrice, fotografa, appassionata, curiosa,Silvia Lisotti è arrivata all’arte non per scelta, ma perché il suo talento si è manifestato con tutta la sua prorompente evidenza.

Silvia, raccontaci di te. Come e quando hai iniziato a fotografare?

Sono una grande viaggiatrice, nel senso che ogni anno parto per due o tre viaggi importanti, da quando ero trentenne. E sono sempre stata interessata alla fotografia che mi ha permesso di documentare questi viaggi. A un certo punto, a quarant’anni, ho pensato di inviare questi reportage a riviste specializzate. E con mia grande sorpresa sono stata contattata da diverse redazioni, per cui ho iniziato a pubblicare i miei scatti. Con i nuovi guadagni mi sono regalata un reflex professionale. A quarantacinque anni mi sono detta: «Non è mai troppo tardi!», e mi sono iscritta alla Scuola Romana di Fotografia, una scuola di formazione professionale molto prestigiosa nella capitale romana, dove in 2 anni ho perfezionato gli aspetti tecnici, compresi quelli di sviluppo e stampa in pellicola BW, ma soprattutto ho approfondito la cultura della fotografia. Attualmente ho terminato gli studi on line presso la NFT Artist University di Luca Vehr.

A questo punto non era più un semplice hobby.

No, era qualcosa di molto più significativo. Ho iniziato a partecipare a diversi concorsi prestigiosi tra cui l’IPA Awards e sono stata premiata. Allora ho cominciato a crederci e mi sono detta ancora: «se arrivano questi riconoscimenti evidentemente ho un talento».

All’inizio ero affascinata dalla tecnologia (corpo macchina, obiettivi) poi mi sono resa conto  – dopo avere acquisito esperienza – che non è l’aspetto più importante: ciò che conta davvero è la visione innata, l’intuizione, l’idea, l’innovazione. Vedere, conoscere, studiare. La fotografia è una filosofia di vita, come diceva Cartier-Bresson. Compro libri di fotografia fine art, vado a mostre di arte e pittura, osservo le fotografie di tutti. Tra gli artisti che amo di più e dai quali mi sono ispirata ci sono Luigi Ghirri e Harold Feinstein, il primo per i miei scatti di Landscape minimalisti e dai colori delicati, il secondo soprattutto per gli still life con i fiori.

Da cosa è composto il tuo portfolio?

Mi sono dedicata molto alla fotografia di paesaggio e ritratto e, durante il periodo del lockdown, ho deciso di fare il salto nella fotografia di Still Life e Fine Art.

Questa, infatti, è una fotografia complessa, dove non è solo necessario padroneggiare molto bene la tecnica dello scatto e della post-produzione, ma anche cercare di trasformare il lavoro in un messaggio, in una comunicazione, in una emozione. Anche in questo caso ho studiato iscrivendomi alla Fine Art Photo Academy.

Ed ecco che, ancora una volta in modo abbastanza inaspettato, ho iniziato a fare mostre, ad esporre presso musei (Polo Museale di Lanciano, Stadio di Domiziano per la XIV Biennale d’Arte di Roma, Palazzo Velli in Trastevere con la Biennale Internazionale di Arte e Cultura della città di Roma) e gallerie in Italia e all’estero (Berlino).

E ora partecipi anche al progetto Cinquerosso Arte.

Sì. Lo sento molto affine, perché la mia fotografia è in parte destinata al mercato autoriale, ma soprattutto legata all’arredamento di interni; mi piace tradurre i miei lavori in stampe fine art e trasformarli in veri oggetti di interior design. Anche in questo caso ho ricevuto riconoscimenti che mi hanno fatto molto piacere. Per esempio il Dharma Luxury Hotel di Roma ha di recente acquistato sei delle mie opere per arredare i lussuosi corridoi. Insomma, la fotografia mi riserva grandi soddisfazioni, soprattutto considerando che non ho mai lasciato il mio lavoro in azienda e quindi non le dedico tutto il mio tempo. Ho iniziato a occuparmi di fotografia da adulta e la pratico in parallelo con altro, posso dire insomma che è la mia seconda vita.

Scopri le opere di Silvia Lisotti!

art city white night

Art City White Night

Nell’ambito di Art City White Night, la notte bianca di Arte Fiera 2023, avrà luogo l’evento “Cinquerosso Arte, la piattaforma dei giovani artisti”, una mostra collettiva delle opere della collezione di Cinquerosso Arte.

In questa occasione la sede di via Remorsella 5/2, a Bologna, resterà aperta al pubblico dalle 20.00 alle 24.00.

“Durante l’edizione di Arte Fiera Bologna 2022 – commenta Francesca Fazioli, titolare di Cinquerosso Arte – abbiamo dato ufficialmente il via al nostro progetto, con il go live della piattaforma di e-commerce per l’arte accessibile.

Oggi, a meno di un anno di distanza, siamo orgogliosamente parte di Arte Fiera 2023, il grande evento dedicato all’arte contemporanea che richiama a Bologna artisti, professionisti del settore e appassionati da tutto il mondo.

Dal varo del nostro sito, a maggio 2022, siamo cresciuti tanto. Sempre più artisti decidono di unirsi a noi, abbiamo stretto contatti con interior designer anche a livello internazionale, e oggi partecipiamo a una delle più importanti kermesse dedicate all’arte in Italia. Arte Fiera Bologna, oltre all’evento fieristico in sé, alimenta infatti tantissime iniziative che ci permettono di aprire i nostri orizzonti sulla creatività.”

La notte bianca di Arte Fiera 2023

Art City White Night animerà il sabato sera del capoluogo emiliano, subito dopo la chiusura della fiera. Come sempre, anche questa edizione sarà caratterizzata da performance, happening, mostre e appuntamenti di ogni genere, ospitati in spazi pubblici e privati, dalle gallerie ai negozi alle osterie. Durante Arte Fiera, infatti, l’intera città si anima di eventi e iniziative che coinvolgono cittadini, istituzioni e i numerosi appassionati che convergono a Bologna per l’occasione. La fiera si terrà dal 3 al 5 febbraio, ma già dal 27  gennaio si svolgeranno tutti gli eventi del circuito Art Week; infine, la notte del 4 febbraio Art City White Night chiuderà in bellezza queste intense giornate di arte e cultura. L’evento “Cinquerosso Arte, la piattaforma dei giovani artisti” si inserisce dunque in un contesto di grande fermento, portando sotto i riflettori i suoi meritevoli talenti.

Franco Covi Fotografia

Esplorando con la fotografia – Intervista a Franco Covi

Fotografo professionista da trent’anni, Franco Covi è sempre alla ricerca di nuovi linguaggi e nuove forme espressive, dalle pellicole all’intelligenza artificiale.

Franco, raccontaci di te.

Ho cominciato giovanissimo a praticare questo mestiere, prima come assistente e poi, a 21 anni con una mia attività. Anzi, in realtà la mia prima macchina fotografica mi è stata regalata a 6 anni, quindi posso dire di aver iniziato cinquant’anni fa.

Come fotografo ovviamente mi dedico a molti progetti diversi, ma nella parte più artistica e personale del mio lavoro continuo a interessarmi soprattutto del corpo umano.

Da una decina di anni ho iniziato a realizzare anche video per sperimentare e sperimentarmi, video che hanno come protagonisti danzatori e danzatrici. Oggi mi definisco fotografo e videomaker.

Anche nelle tue fotografie i protagonisti provengono dal mondo della danza, giusto?

Sì, già da tempo. Questo perché trovo che danzatrici e danzatori siano più interessanti di modelle e modelli, perché sanno esprimere molto meglio, con il corpo, quello che ho in mente di fare. Io descrivo una situazione, un concetto, e loro lo interpretano con facilità perché sono abituati a raccontare attraverso il corpo. Quasi sempre sono danzatrici, ma molto dipende da quello che voglio dire attraverso l’immagine. Per esempio, quando ho voluto fotografare un corpo in un ambiente roccioso, selvaggio, ho scelto di farlo con un danzatore.

A che cosa ti ispiri? Come nascono le tue foto?

Può sembrare una cosa un po’ strana, quasi mistica, ma spesso ho come delle visioni, dei sogni. Ho in mente di voler fare una foto, e nel dormiveglia la vedo. Vedo proprio la foto già stampata. Mi succede molto spesso che arrivino le immagini, e che io mi ritrovi davanti agli occhi un album da sfogliare. Poi nella realizzazione capita che inventi qualcosa, anche insieme alle persone fotografate che – come dicevo – sono spesso danzatori e danzatrici. Non è mai un assolo, ma un dialogo. Spesso uso il bianco e nero, ma non è diktat. Parto dall’immagine, e poi a volte decido in seguito se finalizzarla a colori o in bianco e nero. Del resto oggi la tecnologia ce lo permette, e io sono sempre stato un fautore delle nuove tecnologie.

Adesso a che cosa ti stai dedicando?

In questo periodo sto studiando le applicazioni di intelligenza artificiale che permettono di generare immagini a partire da una serie di parole, da una descrizione. Molti storceranno il naso, ma io lo trovo oggettivamente interessante. È anche questo un modo di raccontare attraverso le immagini. Ora sto appunto cercando di capire se posso combinare la fotografia con queste tecniche, se esiste una strada percorribile e artisticamente interessante.

Se dovessi definire la mia fotografia con una parola, direi che è esplorativa. Sia perché mi piace esplorare nuove tecniche, sia perché quando “ricevo” le immagini esploro, indago, quello che è la mia mente è in grado di propormi. Per cui ogni volta è una sorta di ricerca nei meandri del pensiero, nella soglia tra il sonno e la veglia. Dopo, riproduco il mio sogno.

Scopri le opere di Franco Covi!

Maison&Objet

Cinquerosso Arte espone a Maison&Objet, la fiera dell’interior design

Dal 19 al 23 gennaio, Cinquerosso Arte sarà a Parigi per partecipare a Maison&Objet

Padiglione “Today”, Hall 6 – Stand K49

Maison&Objet è uno dei più importanti eventi al mondo dedicati all’interior design e ai complementi d’arredo. La fiera si tiene due volte all’anno, a gennaio e a settembre, sempre a Parigi, e richiama decine di migliaia di professionisti dell’arredamento da ogni Paese. Tantissimi prodotti esposti, dai mobili ai più piccoli accessori, tantissime idee sull’interior design contemporaneo, tantissime occasioni per conoscere e confrontarsi. 

La partecipazione a Maisong&Obiet è quindi un evento ricco di potenzialità per Cinquerosso Arte, che avrà modo di presentare il suo progetto di arte accessibile per l’interior design a una vastissima platea di architetti, arredatori e general contractors.

Il tema di quest’anno è “Take Care!”. Il prendersi cura di se stessi, degli altri e del pianeta è quindi il  concetto – il valore – attorno al quale ruota l’intera organizzazione della fiera. Take Care!, in questo caso, è inteso come un focalizzarsi, un riconnettersi alla realtà e agire. Questo concetto copre un ampio spettro di scelte, dall’ergonomia di un mobile alla scelta di materiali ecologici per ridurre l’impatto ambientale dell’arredamento. 

Cinquerosso Arte porta in questo contesto la sua idea di bellezza, l’arte come un dono capace di migliorare la vita delle persone. Dai contractors agli arredatori, tutti possono beneficiare di una selezione di artisti che mette a disposizione opere d’arte di qualità, con un’ampia variabilità di stili, tecniche, colori e atmosfere.

Dove trovarci a Maison&Objet

Lo stand di Cinquerosso Arte è presente nel Padiglione “Today”, Hall 6 – Stand K49. Per appuntamenti è possibile utilizzare gli abituali recapiti, oppure il form sul sito di Maison&Objet https://www.maison-objet.com/en/paris/exhibitors/cinquerosso-arte-today.

Cinquerosso Arte vi aspetta a Parigi!

Carolaelupo artista astrattismo

L’arte è per me gratitudine – Intervista a Carolaelupo

Una pittura vitale, fatta di gesti energici e di colori capaci di spazzare via il grigio. Questa è l’arte di Carolaelupo.

Carola, quando hai scoperto l’arte?

Da bambina. Vivevo in un paesino del nord Italia, dove pioveva sempre e non si poteva uscire per periodi lunghissimi, in qualsiasi stagione. E io disegnavo, in quel tempo dell’infanzia che scorre lento, sotto quei cieli temporaleschi. Disegnare era quello spirito vivo che mi faceva trascorrere quel tempo e lo riempiva di un senso profondo, lo arricchiva di colori. Era un’azione vitale. Fuori c’era il mondo nero, ma io stavo dentro i miei disegni. 

E oggi?

Credo che il mio approccio all’arte sia e rimanga questo: un contatto diverso con me stessa, e un entrare in una dimensione “altra” del tempo e dello spazio. In questo senso i 70 giorni del lockdown sono stati per me ricchissimi. Ho disegnato tantissimo, di quel disegnare pieno di colore e di energia che mi contraddistingue. In un momento in cui molta umanità soffriva per l’isolamento, io ho avuto la possibilità di entrare ancora più in contatto con l’arte, e in una forma ancora più grata. Ecco, sono grata all’arte per tutto quello che ha dato alla mia vita.

I titoli delle tue opere sono molto evocativi. Come li scegli? 

Non c’è una regola precisa, ma spesso disegno con un intento e il titolo è sostanzialmente l’idea che ho in mente. Penso al sole, ho l’intento di entrare in contatto con la forza che esprime, con il simbolo, e disegno. Altre volte invece parto dall’azione, dal disegnare, e solo quando ho finito mi interrogo su quello che l’opera esprime, su quello che sta dicendo spontaneamente.

Parlaci del tuo pseudonimo, Carolaelupo. Da dove viene?

Carolaelupo nasce nel 2012 dall’incontro con un grande amore, che mi ha inevitabilmente cambiata. A volte la vita ci dà il dono di incontrare qualcuno – può essere un amico, un’amica, un amante, un cane – che ci rivela un amore di una potenza mai conosciuta prima. Lupo è stato un grande dono, come l’arte, e questo amore resterà con me fino all’ultimo respiro. Stava un po’ stretto nei panni del cane, e voleva fare tutto quello che facevo io. Quindi, quando mi vedeva così presente nei disegni, dimostrava in tutti i modi di volere la mia attenzione o di voler partecipare. Finché un giorno l’ho guardato e gli ho detto: “Guarda, Lupo, per quanto tu chiedi di intervenire in questo mio disegnare, ho finalmente capito che queste opere appartengono a tutti e due.”

Scopri le opere di Carolaelupo

Riccardo Passerini Fotografia di viaggio

Riccardo Passerini – Per il mondo con la macchina fotografica

Viaggiando per lavoro, Riccardo ha sempre con sé la sua fotocamera per essere pronto a catturare un volto, uno scorcio, un particolare capaci di restituire l’essenza di un luogo.

Riccardo, raccontaci la tua formazione come fotografo.

Nasco come fotografo di moda, ed è in questo settore che mi sono formato e ho iniziato a lavorare. Dunque parliamo di fotografie con applicazioni pubblicitarie e commerciali. La parte più personale della mia produzione, quella che ho affidato a Cinquerosso Arte, è invece una fotografia di viaggio. Alcune delle immagini ospitate sul sito, per esempio, sono state realizzate a Marrakech, dove mi trovavo per un servizio fotografico. Mi piace scattare foto dei luoghi, ma soprattutto delle persone, catturando in un’immagine le loro abitudini, il modo di vivere che cambia di paese in paese.

Qual è la cosa che ti piace di più del lavoro come fotografo di moda, e che cosa invece del reportage di viaggio?

Del reportage mi piace, come dicevo, l’idea del racconto dei luoghi attraverso le persone. Amo molto Cartier-Bresson, e mi ispiro a lui in questo senso. Fotografo anche i paesaggi, ma credo che l’elemento umano sia sempre quello più interessante. Del mio lavoro come fotografo di moda, invece, mi piace realizzare gli editoriali per le riviste. In quel caso posso dare sfogo alla mia creatività: la rivista detta un tema molto generale, o addirittura lascia totale libertà sui contenuti, e il team guidato dallo stylist crea una storia con un personaggio e un’ambientazione. 

Tra le foto che hai realizzato ce n’è una che ami particolarmente?

Direi Il volo, che rappresenta un clochard tra uno svolazzare di piccioni. Ero a Parigi per un workshop e stavo passeggiando in pausa pranzo insieme a un mio collega, vicino al Centre Pompidou. Avevo in mano un panino. C’era questo senzatetto che dormiva, poi a un certo punto si è alzato e ha fatto un gesto per lanciare del pane, o qualcosa del genere. E allora ho iniziato subito a scattare, ancora con il panino in mano, perché ho capito che stava per accadere qualcosa di interessante. Mi piace l’espressione divertita e serena del clochard: credo di aver catturato un piccolo istante di assoluta felicità.

Scopri le fotografie di Riccardo Passerini!

nft arte digitale

NFT, il futuro dell’arte?  Una nuova opportunità da cogliere

L’arte non è mai stata relegata in una torre d’avorio separata dalla realtà, quindi non deve stupire che il suo mercato possa subire variazioni nel momento in cui tanta parte della realtà risiederà nell’universo digitale, ovvero nel metaverso di cui tanto si discute.

Considerando l’infinità di contenuti che circolano nella rete, è abbastanza evidente che alcuni di essi possano essere di tipo artistico. Attraverso gli NFT, le opere artistiche possono circolare nel mondo digitale da un venditore a un compratore e gli NFT stessi sono uno strumento di garanzia che attesta con assoluta certezza chi sia il proprietario dell’opera d’arte digitale.

L’acronimo significa Non-Fungibile Token (letteralmente “gettone non  fungibile, non sostituibile”) e si riferisce appunto a un certificato di proprietà su un contenuto digitale.

Immaginiamo l’esempio di una fotografia. Essendo in formato digitale, se il fotografo la pubblica su Internet essa può essere riprodotta all’infinito, e chiunque può usarla come vuole. Se ne viene fatto un uso improprio o non pattuito, si può richiedere la rimozione dello scatto. In alcuni casi occorre pagare per poterla scaricare in alta risoluzione e/o utilizzare a fini commerciali, ma questo non rende proprietari della fotografia: ne consente soltanto l’utilizzo.

Il fotografo potrebbe invece trasformare la fotografia in un NFT, che è una sorta di codice univoco che identifica l’opera. Chi acquista questo NFT diventa proprietario esclusivo di quell’immagine, e può a sua volta rivenderla.

In realtà, non esistendo ancora leggi che regolamentano questo tipo di acquisto, è piuttosto difficile capire come l’acquirente possa tutelare e far valere la proprietà. Resta il fatto che, oggi, ci sono già tantissime persone che hanno investito in NFT. È interessante notare che in alcuni casi non si tratta di opere d’arte, ma di “pezzi unici” come il primo tweet o il primo Sms della storia: sono stati associati a un NFT e gli NFT sono stati venduti, e chi li ha comprati è diventato proprietario di qualcosa che non ha alcuna esistenza concreta, che non potrà mai “appendere in salotto” e che si trova riprodotto in innumerevoli pagine web.

Al contrario potrebbero essere generati NFT di opere d’arte create digitalmente ab origine e di cui non esiste una copia materiale.

Al di là delle dinamiche finanziarie e legali, delle implicazioni filosofiche e dei giudizi morali, è interessante sapere che il sistema degli NFT può effettivamente permettere a un artista di tutelare la propria opera e garantirsi un riconoscimento economico. La domanda è: questo sarà di stimolo nell’immaginare nuove forme artistiche? Noi di Cinquerosso Arte ci auguriamo di sì, perché sogniamo un mondo in cui i creativi possano esprimersi e vivere del proprio lavoro, e questo lavoro possa rendere migliore la vita delle persone.

arte architettura

Arte e Architettura, arti gemelle – Intervista a Max Martelli

L’architettura non è soltanto edilizia, così come l’arte non è solo “roba da museo”. Da sempre queste due espressioni della creatività umana sono intrinsecamente legate. Nel parliamo con lo storico dell’arte Max Martelli.

Max, ci racconti in breve il rapporto tra arte e architettura nella storia.

Si tratta ovviamente di un tema vastissimo, ma proverò a sintetizzarlo partendo da un esempio che credo possa avere punti in comune con il progetto Cinquerosso Arte. Voi offrite una consulenza per permettere agli architetti di integrare opere d’arte nei loro progetti, e questo significa che l’opera non arriva dopo, a riempire un vuoto, ma fa parte dell’idea stessa dello spazio.

E di questa profonda compenetrazione abbiamo molti esempi che vengono dal passato. Pensiamo per esempio ai pittori pompeiani, che usavano dipingere gli ambienti delle case creando l’illusione di spazi architettonici. La pittura non era volta a creare semplici decorazioni, ma simulava architetture e quindi modificava la percezione degli spazi.

Ritroviamo questo tipo di relazione in epoche storiche, successive. Dopo la lunga parentesi bizantina, in cui lo spazio e il tempo scomparivano in favore delle icone, che possiamo considerare come preghiere virtuali, arriva Giotto. Cito qui il Presepe di Greccio, ad Assisi, che ci mostra una scena che avviene oltre l’iconostasi. Giotto in questa opera ci porta nel presbiterio e ci fa vedere il retro di un crocifisso. Ci mostra insomma uno spazio architettonico, tridimensionale che sarebbe nascosto alla vista. Dalla metafisica bizantina, passiamo quindi a uno spazio fisico.

Da Giotto in poi, lo spazio torna a essere rappresentato e con esso ritorna il rapporto tra pittura e architettura. Cito per esempio Masaccio, che nella Trinità di Santa Maria Novella a Firenze ci mostra un corpo con una prospettiva quasi architettonica, contenuto in una volta scorciata. Vorrei citare anche Antonello da Messina, nell’Annunciata, perché paradossalmente qui l’architettura non è rappresentata ma sentita: questa opera comprende anche noi, perché lo spettatore occupa il punto nello spazio in cui si trova l’angelo.

Nel Rinascimento abbiamo poi la figura del pittore architetto – Michelangelo, Bernini, Raffaello, Bramante – che si ispirava esplicitamente all’arte romana. In questo periodo viene riscoperta una tecnica chiamata “quadratura” che significa simulare architetture all’interno delle quali vengono inseriti affreschi. La Galleria Farnese di Annibale Carracci è costruita tutta secondo questo sistema.  Interessante è quello che avviene nella seconda metà del ’400 nel territorio veneto, tra Padova e Venezia nel rapporto tra cornice e pittura. Pensiamo ancora al Mantegna nella Pala di San Zeno di Verona, che inserisce la pittura in una cornice monumentale: non si tratta dunque di un semplice contenitore, ma di una vera e propria architettura nella quale vengono messi in scena i personaggi. Questo discorso viene ereditato da Bellini, che in diverse opere replica questo approccio con una cornice forte, architettonica. Lui però fa un passo ulteriore e libera le figure dalla cornice architettonica, per dare loro autonomia, ma la cornice stessa da fisica diventa dipinta. Va citata L’incoronazione della Vergine, oggi nei Musei Civici di Pesaro, che ci mostra una cornice nella cornice. Cristo è rappresentato in una cornice lignea, seduto sul trono insieme alla Vergine, e la spalliera del trono è a sua volta una cornice che inquadra la rappresentazione di un paesaggio. È un’opera di straordinaria modernità e grande impatto, che definirei rivoluzionaria.

Ci sono esempi anche nel campo delle arti plastiche?

Sì, tantissimi. Ce n’è uno che mi sembra particolarmente interessante, ed è l’Altare del Santo di Donatello, a Padova. Si tratta di un gruppo di statue in bronzo con al centro Maria e il Bambino, a cui si accompagnano anche delle formelle con bassorilievi. Ebbene, queste opere erano state pensate da Donatello (che aveva una mentalità da architetto) all’interno di una struttura architettonica ben precisa, di cui oggi non sappiamo nulla. Aver perso questo contesto ci impedisce di apprezzare pienamente l’opera, che di fatto risulta snaturata. Ecco quindi un esempio lampante di un rapporto strettissimo tra arte e architettura, che riconosciamo per assenza. Tra l’altro la pala del Mantegna, di cui parlavo prima e che è successiva di qualche anno, viene utilizzata dagli storici come possibile ipotetico modello di riferimento per la ricostruzione virtuale dell’altare di Padova, dato che ad esso Mantegna sembra essersi ispirato.

Venendo ai giorni nostri, dove possiamo veder interagire arte e architettura?

In epoche più recenti, possiamo guardare al Liberty e all’Art déco, dove c’erano elementi architettonici all’interno dei quali venivano incluse opere pittoriche. Ai giorni nostri invece bisogna pensare alla street art: i veri artisti realizzano opere che utilizzano le parti architettoniche trasfigurandole. Una tubatura, per esempio, diventa lo stelo di un fiore e acquista grazie all’arte una nuova ragion d’essere.

Che cosa pensa del progetto Cinquerosso Arte?

Ho conosciuto di recente lo studio Cinquerosso e mi ha colpito la capacità di progettare, un po’ come gli artisti del passato che abbiamo appena menzionato, soluzioni di arredo attraverso opere d’arte integrate all’architettura e al design dei luoghi che il cliente desidera personalizzare e rendere quindi riconoscibili e unici. È un modo per far “parlare” gli ambienti, per far loro raccontare da subito, per esempio, la filosofia di un’azienda o di un professionista. L’impatto dell’opera d’arte giusta, anche solo nella sala di attesa di uno studio professionale, è un po’ sottovalutato, ma lentamente si sta scoprendo la sua importanza nella comunicazione, la capacità delle opere di colpire chi le guarda. Il quadro giusto, collocato nel punto giusto, può essere parte del successo di un’azienda, o almeno della sua immagine verso il pubblico.

Condivido quindi il fatto che Cinquerosso abbia compreso tali potenzialità e abbia scelto di estendere la propria offerta sviluppando ulteriormente, in una modalità al passo coi tempi, l’antico rapporto tra opere d’arte e architettura. E questo si lega anche, secondo me positivamente, al progetto Cinquerosso Arte, che permette di promuovere i nuovi artisti e i loro lavori, inserendoli da subito in un circuito professionale che li porta a contatto con potenziali clienti. Molti artisti o aspiranti tali potrebbero vedere in questo processo di moltiplicazione seriale delle proprie creazioni, e nella loro applicazione nel campo dell’arredo, un fattore sminuente della propria creatività, o della unicità delle opere d’arte, ma non è così. Basti pensare, appunto, a ciò che abbiamo detto fino ad ora sull’antico rapporto tra arte e architettura.

Pierluigi Molteni architetto Bologna

Pierluigi Molteni – L’opera d’arte è un’ospite d’onore

L’architetto Pierluigi Molteni ci apre virtualmente le porte del suo studio per offrirci il suo interessante punto di vista sul rapporto tra architettura, arte e persone.

Quali sono le caratteristiche principali dei suoi progetti?

Il mio studio segue principalmente progetti di due tipi, residenziali e allestimenti temporanei. Nell’ambito del residenziale, riserviamo molta attenzione a come si modificano nel tempo gli stili di vita e quindi a come si modifica l’abitare delle persone. La nostra non è mai una pura e semplice proposta di stile ma cerchiamo di interpretare al meglio il modo in cui verranno vissuti gli spazi dai nostri committenti. Il nostro mestiere è prima di tutto un lavoro di ascolto e attenzione. Poi accompagniamo il nostro committente a partire dal concept fino al completamento dell’interior, passando attraverso il disegno degli esecutivi, la direzione del cantiere, la scelta di materiali e finiture: sono tutti aspetti  che non possono viaggiare separati.

Il secondo ambito è quello degli allestimenti temporanei, che a sua volta si articola in due filoni. Da una parte ci occupiamo degli allestimenti di alcune importanti aziende del settore ceramico, italiane e straniere, dall’altra curiamo allestimenti museali e d’arte. L’ultimo progetto realizzato è quello per la mostra “Giulio II e Raffaello, una nuova stagione del Rinascimento a Bologna”, alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, che sarà visitabile fino al 5 febbraio 2023.

Questi ambiti, il residenziale e l’allestimento, li sento fortemente legati da un fattore comune. Il mio studio parte sempre dall’esperienza dello spazio, cioè dal modo in cui le persone vivono e percepiscono le qualità spaziali di un determinato ambiente, come risuona, come reagisce alla luce. Che siano spazi abitativi o quelli di una mostra, costruiamo il progetto per far sì che siano accoglienti, interessanti, che invitino alla scoperta. Come dicevo, mettiamo sempre al centro la costruzione di una vera e propria esperienza di senso e di sensi.

Dunque l’arte ha un peso importante nel suo lavoro.

Nel mio lavoro e anche nella mia vita, perché sono un frequentatore “compulsivo” di mostre. Se visito una città lo faccio anche per poter visitare le varie esposizioni. Nel mio lavoro poi mi capita di avere clienti che possiedono importanti collezioni. In questo caso operiamo per creare le giuste condizioni per accogliere le opere ed esaltarne le caratteristiche. Un’opera d’arte condiziona lo spazio e interagisce con questo. Bisogna leggerne e intepretarne sempre le potenzialità

Anche in questo caso si tratta di esperienza?

Sì perché vanno sempre coltivati gli elementi di sorpresa, straniamento, ingaggio. Con un’opera d’arte si instaura sempre un rapporto intimo e quindi bisogna costruire le condizioni per enfatizzarlo. Nella mostra sul Rinascimento ad esempio, il visitatore scopre il pezzo più importante (cioè il ritratto di Giulio II eseguito da Raffaello) attraverso un percorso di scoperta. Allo stesso modo, nelle case queste opere sono talmente cariche di significato che meritano uno studio attento per poterle valorizzare al massimo. Un’opera d’arte è un po’ come una persona cara che viene ad abitare con noi: vive di vita propria e bisogna metterla nelle condizioni per esprimere al meglio quello che ha da dire, quello che ha da dare.

Che cosa pensa del progetto Cinquerosso Arte?

A me sembra un progetto molto sensato. Parto dall’idea che le gallerie si debbano ripensare. Funzionano solo se incoraggiano e facilitano il rapporto tra collezionista e artista, nutrendo la comunità di cultori. Altrimenti sono negozi come gli altri e si perde la magia dell’arte.

Cinquerosso Arte è in qualche modo una comunità, una comunità virtuale che può nutrire la necessità dell’arte. A questo si aggiunge il tema dell’accessibilità. Sdoganato il concetto della riproducibilità dell’opera d’arte (Walter Benjamin ne aveva parlato già nella prima metà del ’900), sappiamo che un multiplo ha le stesse caratteristiche dell’originale, in termini di fruibilità, piacevolezza, capacità di parlarci e donarci sensazioni. L’opera mantiene valore per la sua bellezza intrinseca e perché è legata a un autore, a un artista, ma la riproducibilità consente di diminuirne il costo. Questa è la forza del progetto di Cinquerosso Arte.

opere digital art

Leandro Faina – L’arte è qualcosa che accade

Da sempre portatore di una visione estetica delle cose, Leandro esprime attraverso l’arte i propri paesaggi interiori. Mondi sorprendenti e placidi in cui tutti vorremmo vivere.

Leandro, raccontaci la tua storia. Almeno per quello che riguarda l’arte.

Più che una storia, si tratta del mio modo di essere. Da sempre ho una predisposizione mentale che mi porta a pensare e ripensare come si possano cambiare le cose, che è poi la spinta per ogni processo creativo. Ho sempre avuto un’opinione estetica, anche perché mio padre dipinge e dunque ho respirato e assorbito arte fin da bambino. Per diversi anni mi sono dedicato ai graffiti, e questo è stato determinante per il mio percorso professionale come graphic designer. Saper fare graffiti richiede una sensibilità nel trovare un ordine, nel trovare una distribuzione dei pesi, che mi è molto utile nel lavoro. Mi occupo infatti di grafica, illustrazione e animazione per comunicazione ed editoria, e qui posso mettere a frutto un certo tipo di capacità. Parallelamente ho continuato a nutrire la mia vena artistica, che considero di altra natura.

Quali sono le differenze?

Chi lavora come grafico, per esempio per un’agenzia di comunicazione, non dovrebbe avere un proprio stile. In questo lavoro bisogna saper raccontare qualcosa che sia coerente con l’identità visiva del cliente, creando un sistema di simboli, tratti e metafore capaci di raccontarne i valori.

L’arte invece permette di esprimere uno stile, e questo fa sì che ogni artista abbia una voce unica. Nel mio caso l’arte mi permette di far emergere la mia sensibilità, attingendo alla parte meno logica e razionale di me. Nelle mie opere esprimo pensieri e stati d’animo, con un processo mentale del tutto diverso da quello che applico nel lavoro come grafico e illustratore. Non seguo un progetto, ma cerco di raccontare qualcosa che è difficile definire con le parole, e che spesso non ha un significato univoco.

Quindi di come nasce una tua opera artistica?

Diciamo che mi si presenta. In qualche modo l’immagine mi appare, mi sembra di poterla toccare, e la riproduco. Certo, dopo aggiungo dettagli e lavoro sul colore, ma il soggetto con il suo racconto mi viene proposto in maniera quasi automatica.

Un’immagine ricorrente nelle tue opere è il bassotto. Come mai?

Lui è una parte importante della mia vita; la sua presenza simboleggia il nostro legame. Per me un cane è un posto sicuro nel mondo, lontano da ogni minaccia. Nei cani c’è una semplicità che li rende molto onesti e sinceri, molto puri. La presenza del mio cane nelle mie visioni è una sorta di contatto con questa dimensione lontana da tutte le dinamiche sbagliate del mondo. Curiosamente le mie illustrazioni sembrano esprimere una personalità diversa dalla mia, forse proprio perché attingono a qualcosa di molto profondo.

In questo periodo stai lavorando a qualche progetto artistico particolare?

A dire il vero non ho mai veri e propri progetti. Lavoro su qualcosa di nuovo quando sento che è il momento. Non mi metto a “cercare” un’idea. Posso avere periodi più o meno produttivi, ma non per effetto di decisioni esplicite. Del resto ho la possibilità di esprimermi in diversi modi: adesso per esempio, oltre al mio lavoro come grafico, illustratore e animatore, ho creato un brand di abbigliamento e ne gestisco la direzione creativa. Insomma, ho la fortuna di poter mettere a frutto l’immaginazione in molti modi.

Scopri le opere di Leandro Faina

consulenza opere arte interior designer

Il servizio di consulenza di Cinquerosso Arte

Vi è mai capitato di entrare in una stanza e percepire una sensazione di armonia, come se ogni cosa fosse esattamente al suo posto?

È quello che succede quando l’ambiente ha un proprio stile, una coerenza tra gli elementi che non lascia emergere dissonanze. Prima ancora di osservare i singoli pezzi che compongono l’arredamento, si avverte il piacere di trovarsi in un luogo curato, governato da un pensiero.

Il servizio di consulenza offerto da Cinquerosso Arte serve proprio a questo, a individuare l’opera d’arte più coerente con l’ambiente in cui dovrà inserirsi.

A Cinquerosso Arte si rivolgono imprese, contractor e professionisti e lo staff raccoglie ed esamina informazioni sul progetto, che può essere l’allestimento di un piccolo negozio, l’arredamento dell’headquarter di una grande azienda o la hall di un albergo. Si studia quindi la brand identity, poiché le opere dovranno essere coerenti con l’immagine aziendale e con le linee guida della sua comunicazione. Un servizio di consulenza è offerto anche a professionisti, come architetti o interior designer, che Cinquerosso Arte può affiancare fin dalle prime fasi di ideazione. In questo modo il progetto sarà completo e coerente in ogni sua parte.

Lo staff studia lo stile, le necessità e la destinazione degli spazi, e sulla base di questo suggerisce le opere più adatte. Non si tratta soltanto di bilanciare forme, ingombri, colori, tonalità. Lo stile è qualcosa di più complesso, che riguarda anche la sfera dei valori e della vision. L’opera d’arte non serve solo a riempire uno spazio, ma trasmette un messaggio, parla a nome dell’azienda e delle persone.

Infine, il servizio di consulenza è a disposizione anche dei clienti privati. Anche in questo si prende in esame lo stile e la personalità del cliente, perché ogni artista esprime una visione del mondo ed è stupendo quando essa è in sintonia con chi la sceglie.

Non esitate a contattarci per avere maggiori informazioni, saremo felici di accompagnarvi in questa ricerca dell’opera giusta per voi.

Scopri di più sul nostro servizio di consulenza.

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Lorenzo Bensi – Due passi nell’essenziale

Una fotografia che va dritta al cuore, quella di Lorenzo. Scatti che ritraggono la purezza delle forme, e incantano gli spettatori come poesie visive.

Raccontaci come hai iniziato. Qual è stato il tuo primo incontro con la fotografia?

In un certo senso sono figlio d’arte, perché mio padre era un fotografo di matrimoni. In casa, quindi, avevo a disposizione diverse attrezzature. Ma è stato solo verso la fine del mio percorso di studi, una decina di anni fa, che ho iniziato a prendere in mano alcuni materiali e a sperimentare con la pellicola. Sono un autodidatta, insomma. Ho cominciato a esplorare vari generi e ho imparato sia le basi della fotografia sia dello sviluppo delle pellicole. Ho studiato i grandi maestri, cercando di carpire le loro tecniche e il loro punto di vista per poi trovare la mia strada.

E cosa c’è sulla tua strada?

C’è una fotografia molto essenziale, minimalista, che molte persone hanno descritto come “silenziosa” e poetica. È essenziale a partire dalla scelta dei soggetti, perché ogni fotografia contiene pochi elementi che cerco poi di far risaltare al meglio.

E sulla mia strada ci sono soprattutto ambienti. Perlopiù si tratta di ambienti naturali, ma anche industriali o urbani. In comune c’è sempre l’estrema pulizia, l’essenzialità delle forme.

Uso relativamente poco il colore, proprio per non distrarre l’attenzione dalle forme, e quando lo uso mi concentro sul colore in sé e sui contrasti cromatici della scena. Al punto che il soggetto a volte non è neppure riconoscibile e la fotografia risulta quasi un’opera astratta.

Le tue foto sono molto poetiche, come dicevamo, e spesso i titoli danno un contributo in questo senso. Come li scegli

È vero, anche i titoli hanno un ruolo nella mia fotografia. A volte sono abbastanza descrittivi, ma molto più spesso offrono una mia chiave di lettura, una mia interpretazione dell’immagine. Mi capita di associare alla foto il titolo di una canzone, o una parte di esso, oppure è la foto a ispirarmi le parole. In ogni caso è qualcosa di molto istintivo, non meditato.

A questo proposito, quanto c’è di istintivo nella tua fotografia? Quanto è importante il lavoro di postproduzione, per esempio?

Immaginando un continuum che va dall’istantanea lasciata così com’è a un lavoro di ritocco che modifica completamente l’originale, mi colloco a metà. La postproduzione è sicuramente fondamentale per l’essenzialità di cui parlavo prima. Tutto dipende dalle condizioni dello scatto. Se la scena è già pulita ed essenziale all’origine, il ritocco consiste solo nella conversione al bianco e nero. In altri casi c’è da sbizzarrire di più la fantasia e intervenire in modo più deciso per ottenere un’immagine espressiva.

A che cosa stai lavorando in questo momento?

Sono in fase di elaborazione di un progetto piuttosto complesso sugli alberi e il cambiamento climatico. Sto fotografando poco, perché sto studiando gli ambienti, i microclimi, le specie. Non so quanto tempo mi richiederà questo lavoro ma confido che ne verrà fuori qualcosa di interessante.

Scopri le opere di Lorenzo Bensi

Silvia Pesci - Damiani Editore

Silvia Pesci – I giovani talenti meritano spazio

Titolare della casa editrice Damiani, Silvia Pesci è una grande esperta di fotografia e arte contemporanea, con una prospettiva internazionale. E tra i suoi mille viaggi intorno al mondo, ha assistito alla nascita di Cinquerosso Arte.

Silvia, cosa succede in Damiani?

Succedono tante cose molto interessanti. Siamo una casa editrice d’arte, con una particolare vocazione per la fotografia legata all’attualità. Negli ultimi anni, per esempio, abbiamo seguito con attenzione i fenomeni sviluppatisi negli Stati Uniti, come i movimenti per i diritti umani e per i diritti civili. Per questa nostra vocazione, pur avendo sede in Italia siamo una casa editrice internazionale, tanto che non stampiamo libri in italiano e la maggior parte del nostro lavoro si svolge all’estero.

Ci racconti un po’ della vostra storia.

Siamo nati nel 2004 con un primo volume dedicato a un autore italiano, e abbiamo subito capito che il presupposto essenziale perché una casa editrice possa andare avanti è la distribuzione. Sembra banale ma non lo è: i libri devono arrivare nelle librerie, ed è un passaggio complesso. Abbiamo quindi realizzato alcuni progetti molto importanti, e anche molto azzardati, per gli Stati Uniti allo scopo di qualificarci per poter collaborare con il più importante distributore di libri d’arte per quel mercato, cioè Artbook. Siamo così arrivati in librerie, concept store, bookshop dei musei e piattaforme digitali in tutti gli States.  

In seguito abbiamo iniziato a collaborare con il più importante distributore del mondo, Thames&Hudson, che ci distribuisce in tutti i Paesi tranne gli Stati Uniti, dove continuiamo a essere seguiti da Artbook.

Il grosso del nostro lavoro, tra cui anche la selezione degli artisti e la gestione dei contratti, viene gestito dai nostri uffici negli Stati Uniti. La piazza artistica più energica, più frizzante e brillante è New York, dove noi abbiamo una sede e dove andiamo diverse volte all’anno per prendere contatto con gli artisti.

Il mercato italiano dei libri d’arte, in effetti, è piuttosto scoraggiante. Per questo abbiamo optato per il solo canale online, tramite il nostro sito: www.damianieditore.com

Da cosa dipende questo?

In Italia abbiamo editori di grandissima levatura, che attingono al nostro ricchissimo patrimonio artistico. Ma noi abbiamo scelto una strada diversa, dedicandoci maggiormente alla fotografia e all’arte contemporanea, e c’è da dire che oggi quanto si muove in questi campi accade all’estero. Quando facciamo presentazioni dei nostri libri a New York, per esempio, abbiamo la fila all’entrata perché tutti vogliono avere la copia firmata dall’autore, mentre in Italia partecipano pochissime persone. Il mercato italiano è piccolo, e ha poche risorse.

Lei è stata una delle prime persone a conoscere il progetto di Cinquerosso Arte. Che cosa ne pensa?

Penso che sia un bellissimo progetto. Certo, è un’impresa non semplice che richiede un grande impegno per ottenere visibilità. Però l’Italia è piena di giovani artisti, in particolare giovani fotografi bravissimi, che meritano di essere conosciuti e venduti. Le dinamiche di mercato non sempre rendono giustizia a quella che è la vera bellezza di un’opera. Auguro quindi a Cinquerosso Arte di riuscire nell’intento di dare a questi talenti la possibilità di farsi apprezzare.

Bad Mandala – “Il mio scopo? Regalare un sorriso”

Eclettico, curioso, sperimentatore, Luca Gentile AKA Bad Mandala non si ferma mai. La sua testa, come ogni sua opera, è un intrico di idee, immagini, linguaggi, percorsi di senso che non esauriscono la loro energia.

Luca, raccontaci la tua formazione

Sono sempre stato molto appassionato di fumetti e cartoni animati, e ho iniziato a disegnare da bambino. Da adolescente mi sono avvicinato al mondo dell’hip hop, dei graffiti e della street art. Ho viaggiato per l’Europa seguendo i vari eventi di questo ambiente, e ho vissuto per un periodo a Berlino e a Londra. Successivamente ho iniziato la formazione come graphic designer e mi è venuto naturale unire le due cose, da un lato quello che avevo imparato dalla strada e dall’altro ciò di cui mi occupavo a livello professionale: web design, graphic design, loghi, copertine e così via. Qui nasce il progetto Bad Mandala: ho unito la parte più giocosa con la tecnica più rigorosa, per approdare alla computer art.

Come mai hai scelto questo nome d’arte?

Perché nel mio lavoro come nei mandala applico una grandissima attenzione al particolare. Amo questa pratica che richiede minuziosità e tempo per disegnare cose molto piccole e molto precise. Questo porta ad una sorta di trance meditativa che ti permette di andare oltre, e disegnare cose che non sapevi neppure ti appartenessero. Le mie opere sono spesse dei complessi freestyle privi di bozza, quello che succede, succede.

Qual è stata l’evoluzione delle opere di Bad Mandala?

Ho iniziato a disegnare con penna bic in grandi formati. Un lavoro certosino, che richiedeva tantissimo tempo e tantissimo impegno. Andando avanti ho cercato di semplificare e rendere più pulito e naturale il processo. Sono passato anche a pittura, scultura, paper crafting, incisione. Quello che mi spinge a livello artistico è inseguire quello che mi piace. Alcuni artisti si soffermano sulla stessa cosa per anni, a me invece piacciono il cambiamento, la trasformazione, la commistione con gli altri aspetti della mia vita. Adesso per esempio sto lavorando tanto con la carta, con la 3D art e con la scultura. Mi piace molto immaginare in tre dimensioni. La serie delle Maschere, per esempio, l’ho realizzata con la spugna che si usa per le composizioni floreali: ho inciso le forme con una tecnica molto particolare e poi le ho fotografate. Anche se hanno richiesto diverse settimane di lavoro, ho voluto che fossero opere leggere, buffe. Il mio scopo è sempre quello di far sorridere.

Le tue opere sono molto eterogenee, ma puoi provare a sceglierne una e raccontarci come è nata? Ci piacerebbe capire come lavori.

Prendiamo per esempio Mandala Hip Hop. Come forma e come esecuzione è più semplice di altri, perché è meno dettagliato, ma dà un’idea della mia tecnica e del mio mondo. Sono partito dal centro e via via ho costruito lo spicchio. Poi, tramite computer, ho replicato lo spicchio per completare l’intera superficie e ho sistemato i margini. Se si guarda bene è possibile riconoscere tanti elementi dell’hip hop, come rullo, scarpe, microfoni, spray, tenuti insieme da cavi e forme geometriche. Sembra quasi composto da Icone per computer. L’effetto che ho cercato di ottenere è un insieme di geometrie se visto da lontano, ma avvicinandosi è possibile scoprire tutte le piccole parti di cui è composto che raccontano una storia.

A cosa stai lavorando ora?

In questo periodo mi sto concentrando sulla musica elettronica e sui videoclip, insieme ad un amico. visivamente prendo clip, scene, pezzi di green screen in giro per la rete e realizzo video a tempo, un po’ glitch art un po’ vaporwave. Quindi da una parte video making e dall’altra 3D art. Il mio sogno sarebbe realizzare un cartone animato 3D o un videogame. In ogni caso mi diverto molto e spero di trasmettere questo sentimento a chi guarda le mie opere.

Scopri le opere di Bad Mandala

stampa fine art

Stampa Fine Art – Non semplici copie

Tra la creazione dell’opera da parte dell’artista e la consegna al cliente c’è un passaggio delicatissimo, quello della stampa d’arte. Talmente delicato da influire sulla resa estetica e la qualità complessiva del lavoro.

Per questa ragione noi di Cinquerosso Arte ci siamo rivolti a un laboratorio specializzato in Stampa Fine Art, ossia nella miglior qualità possibile per la riproduzione di opere d’arte.

La Stampa Fine Art non è una singola tecnica, ma un insieme di materiali, pratiche e strumenti che permette di ottenere la migliore resa cromatica, la texture perfetta, la più completa gamma di sfumature. Materiali, pratiche e strumenti non sono però sufficienti: servono infatti l’esperienza e la perizia di persone altamente competenti che conoscano la complessa interazione tra supporti, inchiostri e macchinari.

Partiamo da questi ultimi due elementi. Il nostro laboratorio utilizza stampanti Epson e inchiostri a pigmenti Epson UltraChrome XDX™, capaci di riprodurre il 98% dei colori certificati da Pantone®. Questa percentuale può dire poco ai non addetti ai lavori, ma significa che la vostra opera sarà ricchissima di sfumature, ed esattamente nelle tonalità previste dagli artisti.

Il nostro laboratorio ha ottenuto la certificazione DIGIGRAPHIE©, che viene rilasciato da Epson nel caso in cui siano rispettati alcuni rigidi criteri di qualità. Questa certificazione è quindi una garanzia che l’opera verrà stampata secondo i più elevati standard del settore.

Non meno importante è la scelta del supporto, e in questo caso il fattore umano è decisivo perché si tratta di selezionare la tipologia di materiale più adatto alla resa che si vuole ottenere. Gli inchiostri reagiscono in modo diverso a seconda del supporto, che ha sempre una propria tonalità e una propria trama. La luce stessa, che sia naturale o artificiale, reagisce con l’insieme di supporto e inchiostro creando effetti diversi, che è importante prevedere.

Ecco quindi che l’esperienza del nostro staff e del nostro stampatore si combinano per assicurare il miglior risultato, sempre in accordo con l’artista e tenendo conto della natura dell’opera. Una fotografia o un’opera di digital art “nascono” come riproducibili, e hanno quindi un certo grado di prevedibilità. Nel caso dei pezzi unici, realizzati a mano, serve un occhio ancora più attento e allenato per capire come riprodurli in modo che siano quanto più possibile fedeli alla bellezza dell’originale.

Noi stampiamo tutte le opere dei nostri artisti su carte Hahnemühle, come ad esempio la Photo Rag, una carta 100% cotone che è tra le più apprezzate in ambito Fine Art Print, con grammature superiori ai 300 g.

Scegli l’opera che ti piace di più e che si addice meglio al tuo ambiente, con la certezza che ti sembrerà ancora più bella quando la avrai tra le mani.

Guarda il nostro processo di lavoro e scopri la fine art

glitch art glitch images

Glitch Art – Errare è umano

Interferenze, perdite di segnale, improvvisi cambi di colore, deformazione dell’immagine o del suono… Sono alcuni dei piccoli incidenti che possono capitare con qualsiasi sistema elettronico, i cosiddetti glitch. Ed ecco che qualcuno ha pensato di farne materia per l’arte. Perché le macchine, per quanto possano approssimarsi alla perfezione, sono emanazioni dell’uomo e dunque fallibili.

Glitch è un termine tecnico che descrive un malfunzionamento imprevisto di un dispositivo, qualcosa che salta agli occhi in modo più o meno fugace. Tutti abbiamo ben in mente che cosa accade, per esempio, se c’è una momentanea perdita di segnale durante la riproduzione di un film.

La glitch art, così come la glitch music, consiste nel trasformare questi eventi del tutto casuali e imprevedibili in qualcosa di esteticamente e intellettualmente interessante. Sì, perché l’evoluzione tecnologica, a ben vedere, è un’estenuante tensione verso la riduzione dell’errore. Alcune macchine sono nate con il proposito di sostituire l’uomo nel lavoro allo scopo di aumentare la produttività e ridurre le possibilità di errore (il cosiddetto errore umano). Altre macchine, come per esempio la televisione o il telefono, sono al servizio dell’uomo, e in questo caso si combatte l’errore in nome di una funzionalità senza intoppi.

Eppure l’errore, il malfunzionamento, l’imprevisto, capitano e ci ricordano la nostra intrinseca imperfezione, strappandoci all’illusione dell’onnipotenza. Errare è umano, appunto.

Esempi di glitch art si riscontrano in buona parte del Novecento, ma è sul finire del secolo che si inizia a parlarne con maggiore frequenza, anche di pari passo con lo sviluppo delle tecnologie digitali e quindi della digital art.

Il processo creativo della glitch art consiste nel catturare un glitch che si verifica spontaneamente, oppure (più spesso) nel provocarlo per ottenere un determinato effetto. Ne risultano immagini statiche o in movimento deformate. E le deformazioni nell’arte hanno sempre un significato. Sono deformazioni le linee prospettiche “scoperte” nel Rinascimento che, paradossalmente, servono a darci un’illusione di realismo. Sono deformazioni le scomposizioni cubiste o futuriste, solo per citare alcuni precedenti. De-formare significa richiamare l’attenzione sulla forma e quindi anche sulla percezione, costringe ad andare oltre l’ovvio e accettare usa sfida che destabilizza.

È quello che fa il nostro Manuele Chan nei suoi “Tremori”, dove i contorni sono sfaldati, i colori virati in un’estetica dal sapore molto contemporaneo.

Come sarebbe noiosa la vita, senza errori.

Scopri le opere glitch art di Manuele Chan

Cinquerosso sinergie innovazione idee Francesca Fazioli

Vent’anni insieme! – di Francesca Fazioli

Ricordo benissimo quel 5 luglio del 2002. Come potrei dimenticarlo? Quel giorno nasceva Cinquerosso, un luogo destinato ad essere un vero e proprio punto di incontro tra professionisti della creatività: fotografi, stilisti, graphic designer, architetti, artisti.

Era questo che volevo: un luogo aperto all’innovazione e alla sinergia tra persone dei più diversi ambiti.

Avevo già alle spalle diversi anni di lavoro come art director prima in agenzie di pubblicità e successivamente in un’importante realtà aziendale come il Gruppo La Perla, avevo imparato tantissimo dal mondo della moda e della comunicazione ed ero soddisfatta del mio percorso professionale. Al tempo stesso, però, avvertivo il forte desiderio di sperimentare qualcosa di nuovo, un’impresa in cui potessi esprimere pienamente le mie idee.

Quello che avevo in mente non era una classica agenzia di comunicazione, il mio sogno era più ambizioso: volevo dare vita a uno spazio innovativo, eclettico, in cui differenti professionalità potessero coabitare e collaborare. Erano i primi anni Duemila e gli spazi di co-working e gli hub – oggi tanto diffusi – erano ancora sconosciuti a Bologna. Nasceva l’era digitale e sentivo che i progetti di comunicazione dovevano sempre più aprirsi alla tecnologia ed al web e che le aziende avevano sempre più bisogno di comunicare attraverso canali e strumenti diversi.

L’impulso per l’apertura di Cinquerosso è arrivato dopo una chiacchierata con due cari amici: Francesca e Eugenio Lenzi, entrambi architetti e lui anche bravissimo scultore. Parlando con loro pensai: “Sarebbe bello se potessimo lavorare insieme, non necessariamente allo stesso progetto ma nello stesso luogo, scambiandoci idee e stimolando la reciproca immaginazione”.

Attorno a quel nucleo si è sviluppata l’idea iniziale. Ed è con gioia poter dire, a vent’anni di distanza, che Cinquerosso è diventato davvero un luogo ospitale e fertile che ha visto passare tantissimi professionisti. In questo spazio originale, una struttura industriale di una Bologna d’altri tempi, si lavora da sempre nell’ambito della pubblicità, della moda, del design, del web e da ultimo anche dell’arte.

Abbiamo avuto il piacere di lavorare con tanti clienti prestigiosi, come Banca di Bologna, Paladini Lingerie, Alma Mater, Fondazione “Fashion Research Italy”, Galleria Forni, Terre della Rocca, Banor Capital, Valuepart, Effetto Luce e ancora prima Visionnaire, Cerdomus, Falper, GVS, per citarne solo alcuni.

Ho puntato sul rosso e sul cinque, il mio numero fortunato, per dar vita ad un laboratorio creativo, dove ancora oggi non ci stanchiamo di immaginare e realizzare progetti per i nostri clienti. Mi piace pensare di aver vinto quella iniziale scommessa. Questo anniversario è soprattutto un’occasione per ringraziare tutti i clienti che ci hanno dato fiducia. È stato, e continuerà ad essere, un piacere percorrere con voi questa strada.

Artisti emergenti

Che domande!

Conosciamo i nostri artisti più da vicino.

Elena Guzzinati, Manuele Chan, Tommaso Fontana, NP e Icaro sono i primi cinque giovani artisti ad essere entrati nella “scuderia” di Cinquerosso Arte. Li abbiamo intervistati per sbirciare dietro le quinte del loro lavoro e scoprire di cosa si nutre la loro immaginazione. Via, dunque, alle domande!

Se dovessi scegliere un solo aggettivo per la tua arte, quale sceglieresti?

Elena: Misteriosa. Manuele: Sgargiante. Tommaso: Gioiosa. NP: Vivace. Icaro: Evocativa.

Qual è la prima cosa che ti viene in mente se pensi al colore?

Elena: La prima cosa che mi viene in mente è “realtà”. La realtà è a colori. Forse per questo le mie fotografie sono in bianco e nero: non vogliono essere rappresentazioni della realtà ma riflessioni.

Manuele: Fantascienza. Mi viene in mente Blade Runner, le luci al neon su sfondi scuri. È un po’ quella l’atmosfera che metto nelle mie opere.

Tommaso: Per me il colore è un posto sicuro, una situazione familiare. E poi mi fa pensare alla mia grande passione oltre la fotografia: il teatro.

NP: Per me è un’espressione di pura felicità.

Icaro: Penso subito a Kandinskij, perché la sua arte è una davvero una sinfonia di colori. Tra forme e colori, realizzava dei veri e propri spartiti musicali.

E al bianco e nero?

Elena: Impressione. La fotografia una volta era impressione di una lastra fotografica. Mi piace pensare che le foto in bianco e nero abbiano un effetto simile e speculare su chi le guarda, cioè che ne rimangano “impressionati”.

Manuele: Confesso che il bianco e nero classico mi fa un po’ paura. Mi dà l’idea di qualcosa di cupo.

Tommaso: Il bianco e nero per me è semplicità. Non tanto perché sia più semplice del colore (anzi), ma perché è più essenziale. Certo, ci sono le sfumature di grigio, ma è tutto molto meno “rumoroso”.

NP: Nostalgia. Le immagini in bianco e nero mi fanno diventare nostalgica.

Icaro: Casa. Lavoro molto con il bianco e nero. È la mia dimensione.

Immagina di poterti fare un ritratto mentre lavori. Come ti vedi?

Elena: Al computer, concentrata nel mio lavoro di grafica oppure sulle mie foto. Alcune infatti richiedono un certo grado di elaborazione, in particolare quelle della serie Whitechromo.

Manuele: Mi vedo al computer, visto che la mia è principalmente digital art e richiede tante e tante ore davanti a un monitor.

Tommaso: Anch’io mi vedo al computer, anche perché sto studiando il ritratto e sono alla ricerca di ispirazioni.

NP: In giro per la città, attenta a ogni dettaglio.

Icaro: Mi vedo perso nei miei ragionamenti, mentre fisso un punto nel vuoto.

A cosa stai lavorando in questo momento? Qual è l’ultima foto che hai scattato, o l’ultima immagine che hai salvato sul tuo computer?

Elena: Sto preparando altre foto per la serie Whitechromo, e inoltre sto lavorando a una serie nuova. L’ultima immagine che ho scattato e salvato è un interno della basilica di San Pietro, a Roma.

Manuele: Sto lavorando ancora sul tremore, e le ultime immagini che ho salvato sono dei visi maschili e femminili.

Tommaso: Come dicevo sto studiando il ritratto, e l’ultima foto che ho scattato è stato appunto un autoritratto.

NP: Sto lavorando a qualcosa di diverso, mi piacerebbe qualcosa di telescopico rimanendo però sempre in stile street art. Nell’ultima foto ci sono strisce pedonali arcobaleno che spiccano sull’asfalto nero bagnato di Parigi.

Icaro: Nell’ultima foto che ho scattato, per la verità, ci siamo io e i miei amici in un locale di Milano. Sto lavorando intorno a un’idea, ma per il momento preferisco non parlarne.

Cosa vuoi fare da grande? Come ti immagini tra 10 anni?

Elena: Immagino di fare quello che mi piace, il mio lavoro, entusiasta come ora e soprattutto soddisfatta di quello che avrò raggiunto.

Manuele: Mi immagino con un tipo di arte completamente diversa, magari sempre nel campo della digital art ma non più glitch, perché la vedo come una forma d’arte “giovane”, poco adatta a un Manuele più maturo.

Tommaso: Che domanda difficile! Mi piacerebbe molto lavorare con i ritratti e continuare con il teatro, vedremo seguendo quali strade.

NP: Spero tra 10 anni di aver trovato una risposta a chi voglio essere come persona, a livello personale e professionale. Intanto mi godo il presente.

Icaro: Mi piacerebbe tanto aprire un Jazz Bar, in cui far confluire tutte le mie passioni, tra cui ovviamente l’arte.

Scopri le opere di Elena Guzzinati, Manuele Chan, NP e Icaro

Federico Venturoli Glam

Talento e bellezza, dalla moda all’arte – Intervista a Federico Venturoli

Federico Venturoli è il fondatore di Glam, società di consulenza per lo sviluppo di e-commerce nel mondo del fashion. In questa intervista racconta perché ha deciso di diventare partner del progetto di Cinquerosso Arte, seguendo il fil rouge del bello.

Federico, che cos’è Glam.it?

Ho fondato Glam nel 2013, poco dopo la mia uscita da YOOX GROUP,  con l’obiettivo di creare una società di consulenza diversa da quelle già presenti sul mercato. Venivo da un’esperienza più che decennale nella creazione e gestione di boutique online prima nel Gruppo La Perla, in Furla e poi appunto in YOOX Group (La Perla è stato il primo luxury brand italiano ad avere una boutique online nel lontano 2000). Avevo quindi piena consapevolezza di cosa significasse fare e-commerce come azienda produttrice e cosa volesse dire farlo in outsourcing per le aziende produttrici. Ho deciso quindi di “fondere” in Glam questi due lati della stessa medaglia per aiutare al meglio le aziende di moda a sviluppare i loro progetti e-commerce.  La differenza sostanziale rispetto agli altri player sul mercato è che non ci limitiamo a offrire un servizio di consulenza ma diventiamo l’azienda stessa accompagnando il brand lungo tutta la Digital Trasformation. Lavoriamo con grandi firme ma anche per realtà più piccole, sempre in un’ottica internazionale. Questo in sintesi è Glam.

Come mai avete deciso di diventare partner nel progetto di Cinquerosso Arte?

Conosco Francesca da oltre vent’anni, avendo lavorato con lei nel Gruppo La Perla, e siamo sempre rimasti in contatto. Apprezzo enormemente la sua sensibilità estetica, il suo buon gusto e la sua creatività. Sono felice che abbia deciso di coinvolgerci in questo progetto e pensiamo di poter dare un contributo importante, perché abbiamo forti competenze verticali sul canale e-commerce e sul digital marketing. Abbiamo un team specializzato nell’analisi dei dati che è in grado di capire, partendo dai numeri, qual è la strada da intraprendere.

Sono competenze che possono dare energia a Cinquerosso Arte e far emergere al meglio gli artisti. Inoltre sono complementari rispetto all’approccio creativo di Francesca e della sua squadra, ed è proprio questo essere complementari che mi fa ben sperare per il futuro. Aggiungo che abbiamo anche qualcosa che condividiamo: l’imprinting dell’alta moda che deriva dalla nostra comune attività in La Perla.

Nell’aderire a Cinquerosso Arte siamo partiti da queste esperienze comuni e dalla fiducia reciproca, ma il progetto ci è sembrato molto interessante in sé, perché va a coprire un’area di mercato ancora non “servita”.

Fotografia Still-life e arte fiori

Marcella Fierro – Il fior fiore dell’arte still-life

Fotografa professionista specializzata in still-life, ritratto e fotografia d’arredamento, Marcella Fierro è nata a Verona. Si è trasferita a Bologna nel 1993 per frequentare l’Accademia di Belle arti, con un percorso di studi dedicato alla scenografia. È in questo periodo che incontra la fotografia e se ne innamora. La sua formazione professionale ha inizio come assistente in ambito pubblicitario, e apprende quindi tutte le tecniche della fotografia di altissimo livello.

Oggi Marcella ha un suo studio, collabora regolarmente con agenzie di comunicazione e aziende private. L’attività artistica ha sempre fiancheggiato il lavoro su commissione: la qualità e la ricerca creativa sono gli elementi predominanti della sua fotografia. 

Marcella, parlaci dei tuoi fiori. Come mai ti sei concentrata su di loro?

Lo still-life, o natura morta, è una mia grande passione oltre che un lavoro, e i fiori sono tra i miei soggetti preferiti. Non riesco a non fotografarli appena mi capita di averli tra le mani.

Del resto sono da sempre protagonisti nella storia dell’arte, sia per la loro intrinseca bellezza, sia per tutti i significati simbolici di cui sono carichi. Basti pensare al fatto che i fiori sono destinati a incantare con la loro bellezza, ma solo per pochissimo tempo. Fotografandoli, li faccio durare per sempre.

Quando sono stata coinvolta nel progetto di Cinquerosso Arte ho subito pensato ai miei fiori come opere da proporre. Credo che ben si prestino alla missione di Cinquerosso Arte, quella di portare bellezza nella vita delle persone. Cosa c’è di più bello e piacevole da guardare di un fiore?

L’idea mi è poi piaciuta così tanto che ho iniziato a realizzare fotografie di fiori appositamente per Cinquerosso Arte.

Oltre ai fiori veri e propri, fotografi anche le tue composizioni. Qui c’è un doppio processo creativo…

Sì, mi piace molto accostare diversi oggetti, materiali, colori. È proprio l’essenza dello still-life. Non è affatto banale fotografare materiali diversi che, per esempio, reagiscono alla luce in modo differente. Questa difficoltà, questa sfida, è anche quello che rende interessante questo tipo di lavoro. Le mie composizioni floreali sono un’evoluzione di questa mia passione per la natura morta: combinare materiali diversi in forme armoniose.

Come fai a renderli così “vibranti”?

Intanto fotografo tutti i miei fiori in studio, e quindi con un totale controllo della luce. Scelgo ogni aspetto, dal colore dello sfondo al tipo di illuminazione, alla direzione, al contrasto, in modo da determinare esattamente l’atmosfera che ho in mente.

Insomma, non mi limito a fotografare i fiori, ma li interpreto. Cerco di fare in modo che la loro bellezza risalti al meglio, ma allo stesso tempo li rendo “miei”. Per esempio, pensate quanto cambia un fiore con una luce soffusa che appiana le ombre e con una più intensa che crea forti chiaroscuri. Oppure alla differenza tra un fondo pastello, più delicato, e un fondo nero che crea un’atmosfera molto teatrale. Magari il fiore è lo stesso, ma regala emozioni tanto diverse. Questa è l’essenza del mio lavoro.

Scopri le opere still-life di Marcella Fierro

Francesca Fazioli

L’arte per tutti – Intervista a Francesca Fazioli

Titolare e Direttore Creativo dell’agenzia di comunicazione Cinquerosso, Francesca è la mente da cui è nato il progetto Cinquerosso Arte, ed è anche il cuore che lo alimenta con il suo trascinante entusiasmo.

Francesca, come è nata l’idea di Cinquerosso Arte?

È un progetto che ha preso forma piano piano, ma l’intuizione iniziale è arrivata dal contatto con i creativi con cui collaboro. Mi mostravano i loro lavori, anche per chiedere un mio parere, e mi capitava spesso di pensare: “Quest’opera è davvero bella, meriterebbe di avere un mercato”. Sono cresciuta in una famiglia come tante, ma che aveva una passione sfrenata per la letteratura, il teatro e soprattutto per l’arte. Passione che i miei genitori mi hanno trasmesso. Oggi c’è l’arte quotata, che richiede investimenti di un certo peso, e dall’altra c’è un enorme proliferare di immagini che si possono acquistare facilmente ma sono “fatte in serie”. Un po’ come per la moda: da una parte l’altissima qualità delle grandi firme e dall’altra il fast fashion. In questo contesto gli artisti emergenti faticano a farsi valere, ed è un peccato perché ci sono davvero dei bei talenti in giro. Ecco, dalla combinazione di questi pensieri è nata una domanda: è possibile trovare un punto di incontro tra artisti di valore, ma poco conosciuti, e persone che vorrebbero acquistare opere d’arte ma non possono permettersi grandi investimenti?

E la risposta è stata un e-commerce di opere d’arte…

Sì. L’e-commerce può dare accesso a un pubblico vastissimo, dispone di tutti i mezzi del digital marketing e ci permette quindi di valorizzare al meglio in nostri artisti. Inoltre è uno strumento utile per chi acquista: in qualsiasi momento è possibile guardare le opere, scegliere e ordinare senza muoversi di casa. Ma Cinquerosso Arte non solo è solo una strategia commerciale. Ci piace pensare che sia davvero un punto di incontro tra talenti e persone che cercano qualcosa di più del solito poster. Uno spazio concreto, anche se digitale, in cui il bisogno di bellezza delle persone può essere soddisfatto.

Credi dunque che le persone abbiano bisogno di arte?

Certamente. Credo anzi che ne abbiano il diritto. Sono convinta che sia importante avere intorno a noi qualcosa di bello, che ci tocca il cuore, che ci fa riflettere o sognare. Inoltre, scegliere un’opera d’arte è anche un modo per esprimere la nostra personalità, il nostro stile. Anche per questo offriamo un servizio di consulenza, sia per privati sia per aziende e professionisti.

In cosa consiste questo servizio di consulenza?

È molto semplice, in realtà. Può succedere che un professionista, per esempio un interior designer, abbia intenzione di completare un suo progetto con opere d’arte in sintonia con l’insieme. In questo caso può acquistare le opere direttamente dal sito di Cinquerosso Arte, oppure può chiedere un aiuto più specifico. Noi analizziamo le sue necessità e pensiamo a quali opere, tra quelle che sono già nel sito e quelle che magari sono in via di realizzazione, possano corrispondere al meglio. Questo vale anche per attività commerciali, per esempio un ristorante o un B&B, come per i privati che devono arredare casa. In tutti i casi noi siamo a disposizione perché l’opera giusta incontri la persona giusta. In conclusione, credo molto in Cinquerosso Arte. Mi auguro davvero che possa aiutare tanti giovani artisti a esprimersi, e tante persone ad arricchire la propria vita.

Arte Fiera e Art City Bologna

Arte Fiera e Art City. Bologna è in fermento.

Tra il 13 e il 15 maggio si tiene a Bologna la 45a edizione di Arte Fiera, il più importante evento fieristico per le gallerie italiane, intorno a cui ruota una miriade di iniziative, tra cui il varo di Cinquerosso Arte.

Quando a Bologna c’è Arte Fiera si vede! Questo evento, che festeggia i suoi 45 anni, è uno dei più prestigiosi del suo genere ed è il più importante appuntamento dedicato alle gallerie d’arte italiane. Non solo: l’attività fieristica vera e propria si inserisce in una cornice di eventi collaterali che trasformano la città in uno spazio espositivo diffuso, in cui si susseguono incontri e iniziative speciali. In questi giorni, insomma, Bologna pullula di artisti, galleristi, appassionati e curiosi; si respira arte in ogni angolo ed è impossibile non restare contagiati da questa esplosione di creatività.

Come si articolano Arte Fiera e Art City Arte Fiera è strutturata su più sezioni. La principale, aperta al pubblico, è la Main Section che raccoglie le gallerie selezionate per la partecipazione, e che a loro volta espongono un numero limitato di artisti. Alla Main Section si affiancano le sezioni Focus, Pittura XXI, Fotografia e immagini in movimento, che approfondiscono anno per anno tematiche, movimenti, periodi storici, singoli artisti e mezzi espressivi diversi. Art City precede di qualche giorno Arte Fiera, prendendo il via già il 7 maggio, e si articola a sua volta in un Main Program corredato da una moltitudine di eventi in ogni punto della città. Le iniziative sono talmente tante che è impossibile elencarle tutte. Consigliamo di seguire gli hashtag #artefiera2022 e #artefiera, per tenersi aggiornati.

In occasione di Arte Fiera sboccia Cinquerosso Arte È in questo clima di intenso fermento creativo che abbiamo voluto inserire il go live del sito di Cinquerosso Arte. Il nostro progetto nasce proprio a Bologna, e inaugurare il sito durante questo evento così importante ci sembrava molto appropriato. L’arte è un territorio accogliente, dove c’è posto per tutti, dagli artisti di fama internazionale ai giovani emergenti, perché si tratta di emozioni, interpretazioni, messaggi che attraverso diversi linguaggi raggiungono pubblici diversi. Siamo felici di poter dare il nostro contributo per rendere l’arte ancora più “democratica”.

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