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paesaggio industriale

Alessio Privitera – Le meraviglie della percezione

10 - 01 - 2025

Psicologo e appassionato di paesaggi urbani e industriali, Alessio Privitera gioca con le forme e con le dimensioni per irretire gli occhi. Niente è ciò che sembra, e questo richiede allo spettatore di partecipare al processo comunicativo che l’opera avvia.

Alessio, parlaci di te.

Sono laureato in psicologia e ho sempre avuto interesse per l’arte, anche perché ho uno zio pittore, specializzato in paesaggi, e mio padre è un professore di disegno tecnico. Attraverso i miei studi mi sono interessato molto alla percezione e ho avuto modo di collaborare con Gabriele Devecchi, un artista e designer che ha molto lavorato su questo aspetto. Insieme a lui ho realizzato una stanza di Ames, cioè un ambiente le cui linee prospettiche traggono in inganno l’occhio a tal punto che due persone poste agli angoli sembrano di dimensioni molto diverse, anche se in realtà sono uguali.

Sono rimasto molto affascinato dal tema della percezione, e da lì ho iniziato a sviluppare il mio stile combinandolo con un’altra delle mie passioni, l’esplorazione urbana. In pratica mi piace girare per le città alla ricerca di fabbriche abbandonate, ciminiere, raffinerie, acciaierie, ambienti metropolitani orfani.

Che cosa ti affascina di questi paesaggi?

Mi piacciono da un punto di vista estetico, perché sono carichi di dettagli; sono quadri di per sé, anche se in realtà sono ecomostri, perché si tratta di strutture ingombranti che deturpano la natura intorno. Sono rimasto particolarmente impressionato durante un viaggio in Giappone, dove ho notato come – per esempio – il mare non sia visto per la sua bellezza ma solo come strumento di lavoro, e di conseguenza non ci sia nessuna attenzione per preservarlo. Malgrado questo, i paesaggi industriali abbandonati sono per me estremamente interessanti. Le acciaierie e gli altoforni, soprattutto, mi affascinano per la loro grande ricchezza di particolari. Di notte, quando si illuminano, sono molto suggestivi.

E come si combinano paesaggi urbani e illusioni ottiche?

Si combinano attraverso un’altra mia passione, quella per i microchip. In questi circuiti vedo e ho sempre visto ambienti industriali. Ecco, quindi, che scatto macro foto di schede madri, e poi ci disegno sopra raffinerie o industrie. La percezione viene ingannata, perché chi guarda le mie opere vede ambienti molto grandi, mentre il materiale di partenza è minuscolo. Mi sono ispirato molto a Mario Sironi, a Lowry, a Diego Rivera, cercando di sviluppare un mio stile personale. C’è voluto tempo, e finora non mi sono mai posto come obiettivo quello di vendere i miei lavori. Oggi mi sento piuttosto soddisfatto e inizio a uscire allo scoperto, ma il mio scopo rimane quello di infondere curiosità e fare in modo che lo spettatore sia attivo, non passivo.

Mi piace pensare che una persona, passando accanto a una mia opera, si fermi a osservarla, si faccia delle domande. Mi piace l’idea che non sia una comunicazione a senso unico da parte dell’artista, perché lo spettatore vede, interpreta, formula domande e risposte.

Cosa pensi di Cinquerosso Arte?

Sono rimasto veramente impressionato dalla stampa in fine art. Ho visto dal vivo le stampe e non mi aspettavo una resa così precisa dell’originale: si vedono perfino gli strappi, i segni sulla tela. Davvero incredibile. Nel mio caso, è interessante perché mi permette di modificare le dimensioni dei miei lavori, che in originale sono al massimo di 20 o 30 cm per lato, e farli diventare molto più grandi, senza perdere alcun dettaglio.

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