Una fotografia che va dritta al cuore, quella di Lorenzo. Scatti che ritraggono la purezza delle forme, e incantano gli spettatori come poesie visive.
Raccontaci come hai iniziato. Qual è stato il tuo primo incontro con la fotografia?
In un certo senso sono figlio d’arte, perché mio padre era un fotografo di matrimoni. In casa, quindi, avevo a disposizione diverse attrezzature. Ma è stato solo verso la fine del mio percorso di studi, una decina di anni fa, che ho iniziato a prendere in mano alcuni materiali e a sperimentare con la pellicola. Sono un autodidatta, insomma. Ho cominciato a esplorare vari generi e ho imparato sia le basi della fotografia sia dello sviluppo delle pellicole. Ho studiato i grandi maestri, cercando di carpire le loro tecniche e il loro punto di vista per poi trovare la mia strada.
E cosa c’è sulla tua strada?
C’è una fotografia molto essenziale, minimalista, che molte persone hanno descritto come “silenziosa” e poetica. È essenziale a partire dalla scelta dei soggetti, perché ogni fotografia contiene pochi elementi che cerco poi di far risaltare al meglio.
E sulla mia strada ci sono soprattutto ambienti. Perlopiù si tratta di ambienti naturali, ma anche industriali o urbani. In comune c’è sempre l’estrema pulizia, l’essenzialità delle forme.
Uso relativamente poco il colore, proprio per non distrarre l’attenzione dalle forme, e quando lo uso mi concentro sul colore in sé e sui contrasti cromatici della scena. Al punto che il soggetto a volte non è neppure riconoscibile e la fotografia risulta quasi un’opera astratta.
Le tue foto sono molto poetiche, come dicevamo, e spesso i titoli danno un contributo in questo senso. Come li scegli
È vero, anche i titoli hanno un ruolo nella mia fotografia. A volte sono abbastanza descrittivi, ma molto più spesso offrono una mia chiave di lettura, una mia interpretazione dell’immagine. Mi capita di associare alla foto il titolo di una canzone, o una parte di esso, oppure è la foto a ispirarmi le parole. In ogni caso è qualcosa di molto istintivo, non meditato.
A questo proposito, quanto c’è di istintivo nella tua fotografia? Quanto è importante il lavoro di postproduzione, per esempio?
Immaginando un continuum che va dall’istantanea lasciata così com’è a un lavoro di ritocco che modifica completamente l’originale, mi colloco a metà. La postproduzione è sicuramente fondamentale per l’essenzialità di cui parlavo prima. Tutto dipende dalle condizioni dello scatto. Se la scena è già pulita ed essenziale all’origine, il ritocco consiste solo nella conversione al bianco e nero. In altri casi c’è da sbizzarrire di più la fantasia e intervenire in modo più deciso per ottenere un’immagine espressiva.
A che cosa stai lavorando in questo momento?
Sono in fase di elaborazione di un progetto piuttosto complesso sugli alberi e il cambiamento climatico. Sto fotografando poco, perché sto studiando gli ambienti, i microclimi, le specie. Non so quanto tempo mi richiederà questo lavoro ma confido che ne verrà fuori qualcosa di interessante.