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Andrea Piccioli Arte

Andrea Piccioli – L’arte per me è soprattutto relazione

01 - 06 - 2023

Giovanissimo, Andrea Piccioli ha già alle spalle una storia densa e ricca di avventure, in cui l’arte dà volto alle emozioni, crea legami e fa nascere sempre qualcosa di nuovo.

Come sei arrivato all’arte?

Ho iniziato a disegnare fin da piccolissimo, anche perché era l’unico modo che i miei genitori avevano trovato per tenermi buono. A 8 anni sono stato colpito da una malattia autoimmune e ho dovuto passare un anno in ospedale; in quel periodo l’arte mi ha aiutato tantissimo: disegnavo, leggevo, ascoltavo musica, guardavo film. È stato allora che mi sono innamorato di Miyazaki e ho iniziato a sognare di scrivere e illustrare storie. Non ho più smesso di disegnare e lo faccio in continuazione, o come attività in sé o come semplice passatempo, magari mentre sono in un locale con gli amici. Si può dire che lo faccia per professione da quando ero un bambino, perché già alle medie ho venduto alcune opere.

Hai seguito una formazione specifica?

Ho studiato al liceo artistico, e così ho potuto conoscere il mondo dell’arte e sviluppare le diverse tecniche. Passavo i fine settimana a disegnare e dipingere per strada con uno dei miei più cari amici. Mettevamo un po’ di musica e realizzavamo dei disegni, anche in collaborazione. Li vendevo poi a offerta libera, perché non riuscivo a valutare i miei lavori e quindi chiedevo agli altri di farlo. Mi sono confrontato con il mondo e ne ho ricevuto un grande incoraggiamento, ho conosciuto tante persone nuove che ancora oggi fanno parte della mia vita. Da lì ho ricevuto incarichi per murales, serrande, eventi, esposizioni e performance dal vivo. Queste ultime mi appassionano molto, perché mi interessa soprattutto il rapporto con l’altro. Nel periodo dell’adolescenza ho iniziato a crearmi una mia estetica sempre più definita, in una ricerca che ovviamente continua ancora. In quel periodo ho iniziato a lavorare sui volti, che rappresentavano i miei stati d’animo, l’insieme delle emozioni che provavo. Cerco, insomma, di dare un volto al mio sentire, per avere con esso un rapporto più reale.

L’arte è quindi centrale nella tua vita.

Sì. L’arte mi definisce. Sento la necessità di esprimermi attraverso l’arte, e questo mi porta a vivere esperienze molto cariche di significato. Dopo il liceo, per esempio, sono partito e sono andato su un’isola del Canada grande come la Corsica ma abitata appena da 5000 persone. L’idea era di soggiornare per un breve periodo e poi riprendere il viaggio, ma mi sono trovato nel bel mezzo della pandemia. Tutti i collegamenti sono stati interrotti e ho trascorso lì diversi mesi. All’inizio lavoravo come aiuto cuoco e giardiniere, ma poi le persone del posto hanno iniziato a conoscermi e ad apprezzare quello che facevo. Su quell’isola vivono in armonia diverse comunità: ci sono famiglie di indigeni, ma anche americani, europei, asiatici e africani. L’isola mi ha accolto, e ho passato il resto della mia permanenza a realizzare opere per la comunità e per i privati. Tra le altre cose ho aiutato a costruire un rifugio nella foresta, per cui ho decorato stanze, cucina, porte…

Un’esperienza indimenticabile.

Assolutamente. Da solo, dall’altra parte del mondo, sono riuscito a comunicare e creare un rapporto con queste persone proprio grazie all’arte. Del resto la mia concezione dell’arte è molto vicina all’estetica relazionale di cui parla Nicolas Bourriaud. Mi interessa il rapporto tra arte e vita, tra arte e umanità.

Come si inserisce Cinquerosso Arte in tutto questo?

Anche in questo caso nasce tutto da una relazione, perché sono arrivato a Cinquerosso Arte grazie a un amico. Ringrazio lui e Francesca per avermi fatto entrare in questa squadra, perché mi ha permesso di avvicinarmi di più al panorama artistico italiano. Finora ho sempre “lavorato dal basso”, nelle strade, nei centri sociali, nei festival. Il fatto di avere stampe delle mie opere in questo nuovo contesto è per me una grandissima opportunità.

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