Fotografa con una formazione pittorica, Francesca traduce nelle sue opere un rapporto di amore e attenzione nei confronti della natura. Ne derivano immagini poetiche e di potente intensità.
Sono nata e vivo a Mestre e la mia formazione è stata canonica, nel senso che ho frequentato l’Istituto d’arte e poi l’Accademia di Belle Arti, diplomandomi in pittura. In seguito ho studiato alla Facoltà di Design e Arti di Venezia, dove mi sono specializzata in fotografia.
Questo percorso fa sì che il mio approccio alla fotografia sia molto pittorico. Dopo aver scattato una foto la rielaboro finché non assume quasi l’aspetto di un dipinto, spesso di un acquerello. Quindi parto dalla fotografia per arrivare a qualcosa di più grafico, quasi materico.
Come è iniziata questa ricerca?
Tempo fa lavoravo su quelle che avevo chiamato Memory Box. Concepivo le mie immagini come scatole di ricordi, fotografando degli ambienti che ormai non esistono più. Quel progetto aveva avuto un buon successo: avevo un contratto con il Sole 24 Ore e la Fondazione Alinari di Firenze, collaboravo con gallerie sia a Milano sia a Venezia. Poi è arrivato il Covid e per me ha segnato un cambio di passo.
Ho cominciato a guardarmi dentro e, dopo quasi vent’anni, ho deciso di dare una svolta al mio percorso, di resettare tutto e ripartire. In quel periodo non era consentito uscire dal territorio comunale, quindi facevo delle passeggiate intorno a casa e vedevo cose che prima avevo ignorato, come appunto le aree verdi urbane. Ho iniziato quindi a osservare e isolare questi elementi, e in particolare gli alberi, e li ho resi protagonisti delle mie opere collocandoli in una dimensione quasi fantastica.
Così sono nate le foto blu, che chiamo “notturni”, e che rappresentano gli alberi mentre dormono. Si è scoperto che le fronde degli alberi si abbassano e si alzano di un metro nell’arco di 12 ore, come se inspirassero durante il giorno ed espirassero durante la notte.
Riprendere con una macchina fotografica questo movimento è impossibile, perché richiederebbe ore di esposizione, quindi ho cercato e cerco di rappresentarlo in modo creativo. Passata l’emergenza Covid ho potuto andare a cercare altri soggetti, e soprattutto ho continuato ad approfondire la conoscenza del regno vegetale.
Quindi il tuo è un approccio quasi scientifico?
In un certo senso sì, perché studio. Per esempio, sono rimasta molto colpita da un esperimento condotto da Cleve Backster, l’inventore della macchina della verità. Aveva messo due piante in una stanza, e aveva fatto entrare a turno 5 persone. L’ultima di queste persone ha distrutto una delle due piante. Dopo una settimana, sono state fatte rientrare le stesse 5 persone, e la pianta che aveva assistito ai maltrattamenti dell’altra ha reagito alla vista della quinta persona.
Gli elettrodi che le erano stati applicati hanno rilevato frequenze insolite, segno che la pianta stava provando qualcosa di simile a un’emozione, uno stato di terrore. È quella che viene definita “percezione primaria”. Ecco, nella mia ricerca artistica lavoro intorno a questa idea che le piante possano provare emozioni quali la felicità, la gioia, la tristezza e la paura.
Da qui è nata una serie che ho intitolato appunto “Percezione primaria”. E lo studio continua, perché sto approfondendo per esempio le reazioni delle piante alla musica. Mi interessa il rapporto tra mondo vegetale ed emozioni. Del resto pensiamo a come ci sentiamo meglio quando entriamo in connessione con la natura, al benessere che proviamo passeggiando in un bosco, oppure quando curiamo una pianta da appartamento: nei gesti che facciamo c’è qualcosa che ci fa bene, come una forma di meditazione. Le piante percepiscono noi e noi percepiamo loro. C’è uno scambio di energie, perché in quanto esseri umani siamo noi stessi parte della natura.
Come si inserisce il tuo percorso in Cinquerosso Arte?
Mi piace il modo di lavorare di Cinquerosso Arte, e mi piace anche la possibilità di conoscere altri artisti, alcuni dei quali sono davvero giovanissimi. La trovo un’ottima occasione per confrontarsi e scambiarsi stimoli. Quindi posso dire di essere molto contenta di questa collaborazione.