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intervista Paolo Tamburini

Paolo Tamburini – La fotografia mi permette di guardare oltre

20 - 07 - 2023

Ironiche, spiazzanti, leggere ma non fatue, le fotografie di Paolo Tamburini nascono da pensiero e maestria e disegnano realtà sovrapposte.

Limpidi strati di luminose rivelazioni.

Come sei arrivato alla fotografia?

La fotografia è stata la mia seconda, grande, passione artistica. Sono figlio di una cantante e ho studiato violoncello fin da bambino, ma non ho potuto diplomarmi al conservatorio a causa di una tendinite. I primi ricordi che riguardano la fotografia risalgono all’infanzia:  mio padre (che era un appassionato) “costringeva” me e le mie sorelle a guardare le diapositive dei nostri viaggi di famiglia. Intorno ai 16 anni ho iniziato a esplorare questo mondo insieme a un amico. Di nascosto prendevo la Canon 35 mm di mio padre, di cui era gelosissimo, e andavo con il mio amico a scattare foto in campagna e nelle colonie abbandonate. Il salto al digitale è avvenuto ai tempi dell’università. Parallelamente agli studi in lettere, ho frequentato corsi di fotografia, anche in camera oscura, e seminari con professionisti del settore. È In quel periodo che hanno cominciato a chiedermi fotografie su commissione.

Dopo la laurea ho iniziato a insegnare, ma durante la pandemia ho abbandonato questa carriera e mi sono dedicato interamente alla fotografia. Ora collaboro con un’agenzia di comunicazione specializzata nel settore dell’interior design.

A che cosa stai lavorando in questo periodo?

Per il mio ultimo lavoro mi sono lasciato guidare dal richiamo delle atmosfere notturne. Il progetto, che inizialmente avevo chiamato “Notti magiche”, è un’esplorazione delle luci che popolano la notte della mia città: scatti urbani, vedute, angoli di zone residenziali. Poi è emersa una seconda urgenza: ho voluto provare a rappresentare la mia città e i suoi dintorni come una colonia su un lontano pianeta abbandonato. È nato così “Planet Rimini”, in cui immagino un papà e una figlia a girovagare per ambienti e scenari alieni.

Dunque non ti limiti a fotografare la realtà, ma la trasformi.

In un certo senso sì. Mi piace questo approccio alla fotografia: lo considero un allenamento per rinnovare di continuo il mio modo di guardare. La vita non si esaurisce con quello che vediamo, ma c’è tanto che non riusciamo a percepire. Le arti, come la fotografia, riescono talvolta a svelare questo “altro” che c’è ma non si nota a prima vista. Per esempio, nell’estate del 2021 ho lavorato a una serie di foto che ho chiamato “Aestatica”, di cui sono protagonisti materassini gonfiabili a forma di animali o di frutta, in ambientazioni “realistiche”. È stato un inno alla fantasia e allo sguardo dei bambini, che vedono quegli oggetti come copie della realtà e allo stesso tempo come reali.

In te c’è chiaramente una vena ironica.

Sì, è una scelta. Nella fotografia contemporanea si vede tanto disagio, tanta fatica, tanta solitudine e narcisismo. È la nostra realtà ed è giusto rappresentarla e interpretarla artisticamente. Io cerco di non “crogiolarmi” nel disagio; cerco di porre l’accento sul positivo che vedo, vorrei non fornire ulteriori casse di risonanza al disagio.

Tu sei anche un musicista. Vedi legami tra musica e fotografia?

Sì, molti. In particolare c’è una parola comune: composizione. La trovo un bel ponte tra queste due forme di espressione artistica.

Si crea una composizione a partire da qualcosa che si ha in mente (quello che in musica è il tema), dopodiché si fanno arrangiamenti mettendo in campo la propria cultura, i propri riferimenti consci o inconsci. Preparare un set, soprattutto per gli still life, è un’operazione simile agli arrangiamenti musicali che servono per andare a comporre l’insieme. Poi però ci sono situazioni più “rischiose”, come nel reportage, in cui la composizione la si deve tirare fuori all’istante: si diventa tutti un po’ come jazzisti che improvvisano melodie sul momento.

Cosa pensi di Cinquerosso Arte?

Mi ha colpito molto il desiderio di Francesca Fazioli di partire dalla bontà dei rapporti tra di noi. Ho avuto modo di conoscere tutti i componenti del gruppo, in diverse occasioni, e si vede chiaramente che Francesca ha a cuore la costruzione di una squadra, il fatto che stiamo bene insieme. Sono stato contento di incontrare altri artisti, con cui è iniziata una relazione di amicizia. Cinquerosso Arte mi ha già dato tanto.

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