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Rocco Casaluci – Il mio è un allenamento al guardare

Figlio e fratello di fotografi, Rocco Casaluci ha sempre vissuto tra pellicole, obiettivi e carta fotografica, ma anche tra palcoscenici e stradine di campagna, con lo sguardo limpido e acuto dell’osservatore.

Rocco, parlaci di te.

Sono nato in Salento e, dopo una parentesi veronese durante la quale ho lavorato come apprendista nello studio di uno dei miei fratelli, ho vissuto gran parte della mia vita a Bologna. La mia formazione tecnica è poi proseguita lavorando per diverse gallerie d’arte, nella riproduzione di opere e creazione di cataloghi. Parallelamente ho sempre portato avanti una grande passione per il teatro, e per gli strani casi della vita sono riuscito a conciliare le due cose diventando fotografo ufficiale del Teatro Comunale di Bologna, dal 2007 sino al 2021.

Tra tutti gli aspetti del lavoro di un fotografo, quello che ho sempre amato di più è il momento della stampa. Come sappiamo, per tutto il Novecento e fino all’avvento del digitale la figura del fotografo era molto diversa da quella di oggi: si lavorava in camera oscura e ci volevano strumenti, materiali e capacità che non erano alla portata di tutti. 

La tua professione ha influito sul tuo sentire di artista?

Sì, il teatro mi ha permesso di “unire i puntini”. La fotografia di scena non è interpretativa, nel senso che bisogna rispettare il lavoro di tutti e valorizzare lo spirito dell’opera, ed è molto tecnica. Questo mi ha portato ad assumere il ruolo di osservatore privilegiato, perché lavoravo durante le prove, a stretto contatto con registi e attori. Inoltre, questa professione mi ha addestrato all’attesa. Assistevo alla nascita dello spettacolo, e si trattava proprio di aspettare il momento giusto, quello decisivo. Del resto io venivo dalla scuola dell’analogico, che era già fatta di tempi lenti e di attese: il tempo dello scatto, quello dello sviluppo, della selezione, della stampa ed eventualmente del ritocco. Come dice l’etimologia stessa, la fotografia è un descrivere con la luce.

E oggi cos’è?

Oggi tutto avviene a ritmo di corsa, in una sorta di bulimia di immagini. A me invece piace la fotografia che permette di osservare i dettagli. In una scena, per esempio, non mi interessa solo il focus principale, ma anche quello che c’è intorno. Le tende di pizzo di Sangallo, il signore in un angolo che legge il giornale, una fotografia che – come la vita – è più bella se è presente nel qui e ora.

La tua fotografia è cambiata nel tempo?

Sì, è andata asciugandosi fino ad arrivare al progetto che ho presentato a Cinquerosso Arte: Sponte plantis. Come dicevo, ho sempre amato il bianco e nero e in questo progetto lo applico all’estremo, sottraendo colore a fiori e piante, disposte su uno sfondo neutro. Quello che cerco di fare con la mia fotografia è un allenamento al guardare, non solo al vedere; qualcosa per cui bisogna andare oltre l’occhio come organo della vista ma passare all’organo della mente. Utilizzo un obiettivo macro per cogliere ogni dettaglio e indurre lo spettatore a soffermarsi, ad avvicinarsi per osservare da vicino. Scelgo piante spontanee, umili, che passano inosservate anche per effetto della velocità con cui ci muoviamo, e le tratto come se fossero persone, come se facessi un ritratto della pianta. Lavoro molto in studio, ma ci sono casi in cui invece è meglio andare sul campo per poter catturare un particolare momento, per esempio la schiusa dei petali. La natura è veramente incredibile, con le sue geometrie e le sue architetture, e non finisce mai di sorprendere.

Come ti trovi nel team di Cinquerosso Arte?

Sono contento e grato di essere stato coinvolto, perché condivido molto l’idea di un’arte alla portata di tutti gli amanti del bello, non solo di chi è più facoltoso. Io stesso amo trasformare le mie opere in piccoli oggetti da regalare alle persone a cui tengo. L’arte così è un gesto d’amore.

Scopri le opere di Rocco Casaluci!

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