Enrico Pelissero vuole che lo spettatore si fermi a pensare. Writer ed esperto di diverse tecniche espressive, crede in un’arte capace di comunicare messaggi e indurre a riflettere. Le sue opere sono talvolta minuziose e ricchissime di dettagli, come pensieri articolati; altre volte istintive, impulsive come gesti.
Cosa descrivi nelle tue opere?
Intanto premetto che non mi sono mai soffermato su una tecnica o una tipologia di opera in particolare, e infatti mi dedico sia a disegno sia alla scultura. Quello che mi preme è affrontare un argomento, un tema che voglio prendere in esame e di cui intendo parlare perché secondo me ce n’è bisogno. Sono convinto che attraverso l’arte – qualsiasi forma di arte, che sia un dipinto, o una poesia – sia possibile far rimanere qualcosa o addirittura trascendere, andare oltre. Per questo non sono legato a tecniche o materiali. Tutto dipende da quello che voglio dire in quel momento, e in funzione di questo scelgo come esprimermi.
Quindi con le tue opere intendi soprattutto lasciare un messaggio?
Spesso sì, spesso si tratta di veri e propri “argomenti” che mi piace trattare. Ma mi capita anche, altrettanto spesso, di disegnare perché sento la necessità di farlo. In questo caso disegno per me e non per comunicare con gli altri o lasciare qualcosa. Disegnare in questo modo mi rilassa, e allora riempio pagine e pagine di linee e forme fittissime.
Ad ogni modo, tutto quello che faccio mi serve per attirare l’attenzione. Non so come possa essere interpretato questo da un punto di vista psicoanalitico, ma è qualcosa che mi spinge fin dall’inconscio: tutto è finalizzato allo spettatore, perché mi piace che si fermi a osservare e a pensare.
A che cosa ti ispiri?
A tutto quello che mi circonda, alle forme che esistono già in natura e che uso per realizzare paesaggi. Questi paesaggi sembrano quasi alieni ma in realtà sono molto concreti. A volte mi ispiro al microcosmo, ai batteri, a ciò che è invisibile perché microscopico. Insomma, ho davanti a me una pagina bianca, sento emergere qualcosa e mi impegno a fissare questo qualcosa sulla carta.
Una particolarità del mio lavoro è che uso quai sempre il bianco e nero. Non mi sento a mio agio con i colori.
Puoi raccontarci una delle tue opere per farci capire il tuo processo creativo?
Prendiamo per esempio l’opera “Un milione di segni”: l’ho pensata fin dall’inizio come una sezione di bosco, e via via l’ho riempita di dettagli. C’è un tronco qui, dei micro-fiori là, piante che si insinuano e rinascono. Da quella prima opera sono venute fuori altre tavole che si somigliano, come se fossero sempre echi di quella stessa voce. In “Pagliaccio”, invece, ho voluto fare un mio autoritratto truccato da clown, con il naso finto eccetera. Anche questo è un tema ricorrente: autoritratti un po’ malinconici, come se rappresentassero una mia seconda personalità.
Come ti trovi con Cinquerosso Arte?
La mia collaborazione è iniziata da poco, ma posso solo spendere parole positive. Non mi aspettavo che qualcuno si interessasse così tanto al mio lavoro, con la stessa dedizione che ci metto io. I risultati si vedranno con il tempo, ma mi sono sentito capito e seguito.