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Alessandra Scandella – Lascio accadere l’imprevedibile

Alessandra Scandella lascia accadere l’imprevedibile. Artista e insegnante, cerca, nelle sue opere, l’inaspettato tipico di tutto ciò che è vivo. Per questo ama gli acquerelli, così materici, mutevoli ed espressivi da poter raccontare ogni genere di storia.

Alessandra, qual è stato il tuo percorso formativo?

Mentre frequentavo l’università ho studiato illustrazione alla Scuola superiore di arte applicata del Castello Sforzesco, a Milano. Ho iniziato subito a lavorare nella pubblicità, ma cercando un mio stile, che mi rappresentasse, che mi piacesse. Per questo mi sono dedicata agli acquerelli e agli inchiostri, e da allora ho sempre utilizzato queste tecniche perché voglio partire dalla manualità. Amo l’aspetto imprevedibile della macchia e credo che questo faccia la differenza, soprattutto in un periodo di intelligenze artificiali ed elaborazioni digitali.

Non ho alcun rifiuto nei confronti di questi strumenti, ma vanno comunque calibrati. È uno degli argomenti che tratto anche nei miei corsi.

 Perché sei anche insegnante…

Sì, sono docente allo IED e alla Scuola internazionale di Comics di Milano, dove insegno acquerello e inchiostri. Mi piace molto lavorare con i ragazzi, e propongo un percorso che parte dallo studio della tecnica per poi arrivare a un progetto finale, conservando sempre un qualcosa di artigianale e manuale. Un esempio che faccio spesso è quello del ritratto: puoi partire dallo stesso soggetto e ritrarlo dieci volte, e avrai sempre dieci risultati diversi.

Puoi descriverci le tue tecniche?

Come dicevo, amo l’acquerello perché mi permette di esprimere il mio stile, con la sua imprevedibilità. Utilizzo tantissimi rossi, aranci, viola, oro, molto intensi e concentrati, cioè usando poca acqua, per grandi campiture, alternandole ad altre che invece sono molto velate, molto trasparenti. Non amo l’acquerello sbiadito, lo preferisco concentrato perché dà più energia all’opera. Inoltre lascio sempre campiture bianche, perché secondo me il bianco sottolinea il colore e il disegno, dà più forza ai dettagli. Un’altra caratteristica che apprezzo dell’acquerello è il fatto che, rispetto all’acrilico e ad altre tecniche, lascia sempre qualcosa in sospeso. Un po’ come in alcune poesie, in cui ci sono tanti significati anche in quello che non viene detto.

Ai miei ragazzi dico spesso di non aver paura a usare acqua, lasciando che formi delle macchie, che racconti delle storie. Dico loro di “entrare” nelle macchie e disegnare a partire da lì.

In quali ambiti lavori?

Oltre alla pubblicità, lavoro molto nell’interior design, per la decorazione d’interni. Per esempio realizzando carta da parati. Inoltre lavoro per il settore della moda e quello della bellezza. Sono tutti ambiti in cui posso esprimere il mio stile e utilizzare le mie tecniche nel modo che sento più vicino a me. Mi capita anche di fare delle mostre, cosa che mi piace molto perché mi permette di esporre la tavola originale. I lavori che realizzo per i miei clienti, infatti, partono da un’esecuzione manuale – il disegno, lo schizzo, l’inchiostro, l’acquerello, le macchie –  e hanno poi un passaggio in digitale, con scansioni ad alta definizione. In questo modo posso conservare l’originale, fare le necessarie revisioni e consegnare un prodotto pronto per la stampa. Nel caso delle mostre, invece, consegno le tavole con tutte le tracce più evidenti della manualità, gli imprevisti, ed è quindi un’altra dimensione.

Puoi raccontarci qualcuna delle tue esperienze?

Amo molto il tema del viaggio, quindi sketchbook, carnet de voyage, e così via. Ultimamente mi è capitato di collaborare con Moleskine ed MSC Crociere, che insieme hanno progettato un’agenda con illustrazioni ispirate a tutto il mondo: i continenti, le culture, l’arte, l’alimentazione. Insomma, una manna per chi fa il mio mestiere. Mi piace tantissimo raccontare attraverso il disegno quello che non si può esprimere a parole.

Un altro progetto molto stimolante è stata una serie di ritratti per Domus, storica rivista dedicata all’architettura. In questo caso si trattava di raccontare, attraverso le immagini, le persone. Tra i lavori più recenti, ne ricordo uno per San Pellegrino in cui ho raccontato l’azienda, le sue persone e i suoi luoghi, tra cui una bellissima riserva naturale in Toscana. Con il mio studio ho realizzato anche animazioni per diversi clienti, tra cui una per Bulgari. In questo caso è bellissimo vedere l’acquerello in azione, il formarsi della macchia, i colori in movimento che raccontano davvero delle storie.

Con Cinquerosso Arte, infine, sto lavorando proprio sul tema della natura e del paesaggio. Credo che gli acquerelli si prestino molto bene a questo tema, visto che sono naturali, non sintetici come gli acrilici. Ho sempre con me gli acquerelli quando viaggio. Realizzo vedute di città, paesaggi, marine, o magari persone ai tavolini di un caffè; oppure disegno figure a metà tra l’umano e il mondo vegetale, donne vestite con abiti in cui non si capisce che cosa è tessuto e che cosa è pianta, foglia, fiore.

A proposito di Cinquerosso Arte, come ti stai trovando in questa collaborazione?

Mi trovo molto bene! Apprezzo tantissimo la cura per il dettaglio, in particolare per quanto riguarda la stampa fine art. Vedo che c’è un vero interesse verso la qualità e la professionalità, ben oltre gli aspetti puramente commerciali. Insomma, è una bella avventura e ho tutte le intenzioni di dare il massimo in questa collaborazione.

Leggi l’intervista a Francesco Zurlini!

astratto collage

Francesco Zurlini – Non bisogna mai fermare il motore creativo

Artista affermato, astrattista nell’anima, Francesco Zurlini porta in Cinquerosso Arte i suoi Studi, la sua esperienza e la sua carica di positività. Pensa che non bisogna mai fermare il motore creativo.

Francesco, raccontaci la tua storia.

Dipingo da tantissimi anni, quindi rispetto ai giovani che ho incontrato in Cinquerosso Arte mi sento un po’ un nonno. Provengo da una famiglia di artisti, dal momento che mio padre era un regista di cinema, appassionato e collezionista d’arte. È lui che mi ha iniziato a questo mondo, nel senso che mi ha fatto amare l’arte contemporanea da quando ero poco più di un bambino.

Ho avuto diverse fortune in questo lungo cammino, che è stata inizialmente quella di venire a contatto con i grandi maestri dell’astrattismo italiano degli anni ’60/’70, in special modo Afro Basaldella, da cui ho ereditato l’amore per la pittura astratta. A un certo punto della mia vita ho sentito il bisogno di mettermi alla prova. Avevo una sorta di visione delle cose, un mio senso estetico, un percorso che si sviluppava ogni qual volta andavo a una mostra e mi accorgevo di rimanere incuriosito da alcune cose, e che avrei voluto rielaborarle in un altro modo. Quindi sono andato in un negozio e ho comprato tutto il materiale che mi serviva per incominciare a dipingere. È iniziata così, e sono arrivato a oggi, con più di 35 anni di carriera artistica.

Un passo decisivo e coraggioso.   

Io sostengo sempre che dentro ognuno di noi c’è un artista. Qualcuno ha una particolare predisposizione, ma se non ti metti mai alla prova non potrai mai sapere fino a che punto i tuoi pensieri, le tue voglie, le tue aspirazioni possano andare avanti. Io non ho mai avuto un maestro, non ho frequentato scuole d’arte, ho studiato quello che mi interessava. Mi sono confrontato con quelli che erano i miei artisti di riferimento, li ho approfonditi, li ho guardati, li ho analizzati.

Sono andato avanti a tentoni e tentativi, facendo i miei pasticci, affinando le tecniche e mischiandole. Da questo poi è venuto fuori con il tempo il mestiere. Perché anche l’artista ha bisogno dell’esperienza per avere consapevolezza di tutto quello che si ha a disposizione, soprattutto per quanto riguarda i materiali, che sono vari e differenti uno dall’altro. E come tutti i mestieri, più lavori, più affini l’ingegno e la pratica.

Che cosa differenzia quindi un artista rispetto a una persona che fa un altro mestiere?

Credo che sia una predisposizione mentale. Io sono un astrattista, quindi quando ho un’idea vedo proprio che mi si sviluppa in testa qualcosa su cui devo lavorare. Nel momento in cui l’idea non c’è bisogna comunque continuare a lavorare, perché è solo attraverso il lavoro che tu mantieni allenato il tuo fare, il tuo motore creativo. Nel momento in cui stoppi il motore creativo (lavori di meno, ti prendi un periodo di pausa, ti succede una sfortuna nella vita…), ti blocchi nella produzione. E si blocca anche la testa, l’inventiva.

Puoi raccontarci un episodio della tua carriera che ti è particolarmente caro?

Tenni la mia prima mostra personale a Bologna, durante un’edizione di Arte fiera in uno spazio meraviglioso in via Marsala. Ad un certo punto, entrò questo signore che si incantò di fronte ai miei quadri e mi volle conoscere. Era Giuliano Serafini, un importante critico d’arte, e mi disse una cosa che mi colpì: “Questa è stata la mostra più bella che abbia visitato in questa edizione di Arte fiera”. Volle addirittura curare il catalogo di una mia mostra successiva organizzata dal comune di Siena, al complesso museale di santa Maria della Scala.

Le opere in vendita con Cinquerosso Arte si chiamano Studi. Come mai?

Perché sono effettivamente degli studi. Appartengono a una piccola produzione su carta che ha una funzione ben precisa nella mia pittura, che è quella di raccogliere le idee. Quando ho bisogno di studiare, di fare tentativi, prove di accostamento di colore e così via, lavoro su bozzetti. Ma definirli bozzetti è fuorviante perché alla fine diventano opere finite. Non riesco mai a lasciare una cosa a metà, o semplicemente mettere insieme due colori e vedere come stanno. Questo è un po’ il mio limite perché sono molto lungo nel completare un’opera,  e quindi potrebbe sembrare che io perda tempo nel provare formati o supporti che poi magari rimangono dentro un archivio. In realtà è una fase importante: solo attraverso questo studio riesco a raccogliere le idee per poi dipingere su tele di tre metri per tre metri, per esempio.

Cosa pensi di Cinquerosso Arte?

Oltre al fatto che mi lega a Francesca una lunga amicizia (ci conosciamo da trent’anni!), ho accettato con molta gioia anche perché non avevo mai fatto delle mie opere una stampa, e sono rimasto molto sorpreso: non mi aspettavo una resa cromatica e una resa della texture così raffinata.

Basti pensare che posso usare il bianco in dieci maniere differenti, posso fare una sola pennellata, o cinque, o venti. La stampa Fine art ha il merito di riuscire a rendere questi effetti di spessore in modo sorprendentemente fedele all’originale.

Leggi l’intervista a Filippo Manfroni!

corpi pittura

Filippo Manfroni – Raccontare attraverso il corpo

Illustratore e visualizer per grandi agenzie di pubblicità, Filippo Manfroni si è avvicinato alla pittura spinto dall’urgenza di raccontare. Protagonista delle sue opere è il corpo, a cui è affidato il compito di celebrare la ricerca del senso dell’esistenza.

Filippo, parlaci di te e del tuo rapporto con la pittura.

Credo che tutto sia nato da un bisogno di raccontare. Sono sempre stato affascinato dalle storie. Leggere un libro, guardare un film, ascoltare un racconto significa vivere esperienze grazie alla pura forza dell’immaginazione. Affascinato da tutto questo, dopo aver studiato arte a Urbino mi sono trasferito a Milano per studiare fumetto. Ho tentato con il linguaggio delle graphic novel, ma mi sono reso conto che non era la mia strada e ho fatto un passo indietro. Del resto non puoi trarre il meglio da te stesso se ti ostini a inseguire l’obiettivo sbagliato. Ho capito che io potevo essere più bravo a condensare un racconto in un’immagine e da allora mi sono dedicato a coltivare questo talento con tutte le mie energie.

E non è stato facile.

Quali difficoltà hai incontrato?

Intanto, ho dovuto imparare molto da autodidatta. Infatti, come dicevo, ho frequentato l’Istituto d’arte e la scuola di fumetto dove ho studiato disegno e non pittura. Quindi ho imparato a dipingere attingendo a diverse fonti, per prove ed errori. Ho presto spunto da dipinti che mi affascinavano, cercando di capire come fossero stati realizzati. Ho guardato tutorial che spiegavano come usare la tela e la tavolozza, e così via.

In parallelo c’è stato tutto il percorso per trovare la mia voce. All’inizio mi sono ispirato molto a Kent Williams, un graphic novelist che a sua volta deve molto a Schiele. Poi la mia pittura si è emancipata da questo bisogno di imitazione, e finalmente ho trovato una mia identità come pittore. Tutto questo attraverso tentativi, insuccessi e risalite, di cui sono molto orgoglioso.

Che cosa racconti nelle tue opere?

Racconto l’umano. Racconto le persone, le relazioni, gli stati d’animo, le passioni. A volte mi ispiro a qualcosa che ho visto, altre volte si tratta di me: le mie fantasie, le mie paure, i miei desideri, i miei fantasmi.

Le mie opere rappresentano corpi, o parti di corpi. I corpi possono essere raffigurati in diversi modi, a seconda di dove si tende. Si può tendere a esaltarne le forme e le linee, lavorando verso l’astrazione; oppure si può tendere a raccontare qualcosa, come faccio io. Cerco di dare un messaggio, di fissare un’intuizione.

Quando ero molto giovane ho avuto bisogno di trovare un modo per integrarmi con gli altri. E allora mi sono messo a osservarli: guardavo come si comportavano, come si muovevano, come comunicavano e si relazionavano tra loro. Sono diventato molto bravo a osservare e a capire gli altri, forse più di quanto non capisca me stesso. In particolare mi emoziona il nostro essere così fragili e così tormentati dal bisogno di capire perché siamo qui. Da questo senso di precarietà deve nascere, secondo me, la gratitudine. Dobbiamo essere grati di essere vivi. Ecco, è tutto questo che mi piace raccontare.

Che cosa pensi di Cinquerosso Arte?

Penso che le opere scelte siano davvero di altissimo livello, e umanamente mi sto trovando molto bene. Sono dell’idea che ci sia bisogno di molta più bellezza e gentilezza. Il progetto di Cinquerosso Arte è fondamentale per il primo punto.

L’arte ha ovviamente costi elevati, spesso proibitivi, ma l’intuizione di diffondere la bellezza attraverso immagini di altissima qualità a prezzi contenuti è sicuramente valida. 

Leggi l’intervista a Enrico Pelissero!

milioni di segni in bianco e nero fitti

Enrico Pelissero – Voglio che lo spettatore si fermi a pensare

Enrico Pelissero vuole che lo spettatore si fermi a pensare. Writer ed esperto di diverse tecniche espressive, crede in un’arte capace di comunicare messaggi e indurre a riflettere. Le sue opere sono talvolta minuziose e ricchissime di dettagli, come pensieri articolati; altre volte istintive, impulsive come gesti.

Cosa descrivi nelle tue opere?

Intanto premetto che non mi sono mai soffermato su una tecnica o una tipologia di opera in particolare, e infatti mi dedico sia a disegno sia alla scultura. Quello che mi preme è affrontare un argomento, un tema che voglio prendere in esame e di cui intendo parlare perché secondo me ce n’è bisogno. Sono convinto che attraverso l’arte – qualsiasi forma di arte, che sia un dipinto, o una poesia – sia possibile far rimanere qualcosa o addirittura trascendere, andare oltre. Per questo non sono legato a tecniche o materiali. Tutto dipende da quello che voglio dire in quel momento, e in funzione di questo scelgo come esprimermi.

Quindi con le tue opere intendi soprattutto lasciare un messaggio?

Spesso sì, spesso si tratta di veri e propri “argomenti” che mi piace trattare. Ma mi capita anche, altrettanto spesso, di disegnare perché sento la necessità di farlo. In questo caso disegno per me e non per comunicare con gli altri o lasciare qualcosa. Disegnare in questo modo mi rilassa, e allora riempio pagine e pagine di linee e forme fittissime.

Ad ogni modo, tutto quello che faccio mi serve per attirare l’attenzione. Non so come possa essere interpretato questo da un punto di vista psicoanalitico, ma è qualcosa che mi spinge fin dall’inconscio: tutto è finalizzato allo spettatore, perché mi piace che si fermi a osservare e a pensare.

A che cosa ti ispiri?

A tutto quello che mi circonda, alle forme che esistono già in natura e che uso per realizzare paesaggi. Questi paesaggi sembrano quasi alieni ma in realtà sono molto concreti. A volte mi ispiro al microcosmo, ai batteri, a ciò che è invisibile perché microscopico. Insomma, ho davanti a me una pagina bianca, sento emergere qualcosa e mi impegno a fissare questo qualcosa sulla carta.

Una particolarità del mio lavoro è che uso quai sempre il bianco e nero. Non mi sento a mio agio con i colori.

Puoi raccontarci una delle tue opere per farci capire il tuo processo creativo?

Prendiamo per esempio l’opera “Un milione di segni”: l’ho pensata fin dall’inizio come una sezione di bosco, e via via l’ho riempita di dettagli. C’è un tronco qui, dei micro-fiori là, piante che si insinuano e rinascono. Da quella prima opera sono venute fuori altre tavole che si somigliano, come se fossero sempre echi di quella stessa voce. In “Pagliaccio”, invece, ho voluto fare un mio autoritratto truccato da clown, con il naso finto eccetera. Anche questo è un tema ricorrente: autoritratti un po’ malinconici, come se rappresentassero una mia seconda personalità.

Come ti trovi con Cinquerosso Arte?

La mia collaborazione è iniziata da poco, ma posso solo spendere parole positive. Non mi aspettavo che qualcuno si interessasse così tanto al mio lavoro, con la stessa dedizione che ci metto io. I risultati si vedranno con il tempo, ma mi sono sentito capito e seguito.

Leggi l’intervista a Giulia Gray!

gatti acquerello colori nude

Giulia Gray – L’evoluzione attraverso le piccole cose

Dopo anni di lavoro nel campo della moda, Giulia Gray ha deciso di dedicarsi all’arte e di esplorare, attraverso essa, l’umano. La sua è un’arte istintiva e meditata allo stesso tempo, dove confluiscono emozioni e studio, impeti e ragione.

Giulia, raccontaci di te.

Ho sempre dipinto e fotografato, sin da quando ero bambina e dipingevo già ad olio su tela. Da piccola avevo due grandi passioni: la pittura e la moda. Ho scelto di studiare e lavorare nel mondo della moda per tenere l’arte in una zona più “incontaminata”. Ho frequentato moda all’istituto d’arte a Firenze, poi il Polimoda, e infine mi sono trasferita a Bologna dove ho iniziato a lavorare alla Perla come stilista. Continuando la carriera di designer per vent’anni, finché ho ricominciato a dipingere. Nel 2021 ho deciso di lasciare definitivamente la moda per dedicarmi completamente all’arte, e sta andando bene. Benché io sia in questo campo da pochissimo, ho tanti riscontri positivi: vendo, sono contattata da critici e gallerie, mi hanno dato una quotazione che chiaramente non è altissima perché sono neofita, ma avere vent’anni di esperienza in una carriera creativa ha comunque un peso. Insomma, sono felicissima perché sento di star facendo quello che devo fare, di seguire la mia vocazione. Certo, è tutto in divenire, ma mi sento sulla strada giusta.

Come nascono le tue opere?

Dipende. Tra quelle che ho proposto a Cinquerosso Arte ci sono per esempio alcuni studi che hanno come protagonista il mio gatto, Spuma. Quando ho ricominciato a dipingere volevo sviluppare nuove tecniche usando materiali diversi: infatti mischio china e acquerello, uso il sale e altri prodotti per ottenere reazioni particolari. Spuma è una musa che ho sempre sottomano, dal momento che dipingo in casa, nel mio studio. I suoi ritratti fondamentalmente nascono dalla possibilità di avere un soggetto sempre disponibile per le pose. Inoltre si presta molto bene per quello che voglio fare, anche grazie ai suoi colori.

Altre opere, invece, hanno un’impronta astratta.

Sì, dopo il primo periodo ho iniziato a fare tutto un altro tipo di lavoro. Qualcosa di molto più introspettivo sull’evoluzione personale e sull’evoluzione in generale dell’essere umano. È una ricerca abbastanza impegnativa, che va appunto verso l’astrazione. Tra l’altro non lavoro solo come pittrice, perché mi interesso anche di fotografia e video arte, ma il tema è quello: esplorare il quotidiano, capire come l’evoluzione umana passi dalle cose semplici, le più piccole. Lavoro tanto sul contesto della casa e dell’intimità, ovvero tutto ciò che è molto intimo e quotidiano, che di solito non osserviamo perché sembra banale. Come un gatto, appunto.

Quanta parte del tuo lavoro è razionale e quanta parte è istintiva?

Nel mio caso vengono insieme, nel senso che la mia è una pittura realizzata in modo molto istintivo, di getto, che però nasce da un lavoro personale su me stessa, di meditazione, di terapia. Mi interessa anche lo studio della psicologia, e di altre discipline meno scientifiche come l’astrologia: tutto quello che riguarda l’essere umano, insomma. Nelle mie opere c’è quello che ho vissuto, come mi sentivo a livello emotivo mentre lavoravo, luci e ombre del vissuto umano ed emozioni più o meno palpabili.

Ma tutte queste sensazioni e questi stati d’animo vanno a creare qualcosa di più ampio. Non voglio che le mie opere siano troppo personali, perché in realtà mi interessa comunicare: vorrei che ognuno potesse sentirle come proprie. Anche per questo sono pensate per essere componili e personalizzabili, in modo che vadano a creare qualcosa di unico e in divenire.

Come ti trovi con Cinquerosso Arte?

Benissimo. Mi sembra una realtà molto seria, inoltre sono tutti molto carini. È un bel progetto in cui sento tanto entusiasmo. Spero che vada avanti, e per ora le impressioni sono molto positive.

Leggi l’intervista a Owen Gent!

paesaggo opere donna verde

Owen Gent- Amo vedere le mie opere aprirsi a nuova vita

Owen Gent:” amo vedere le sue opere aprirsi a nuova vita”. Illustratore per l’editoria e la comunicazione, Stupisce per la sua capacità di condensare storie e concetti complessi in un’immagine di rara poesia.

Owen, raccontaci la tua storia. Come ti sei avvicinato all’arte?

Ho sempre disegnato e dipinto. Non riesco neppure a ricordare quando ho iniziato, ma la mia carriera ha preso avvio formalmente quando ho intrapreso gli studi in illustrazione alla Falmouth University, in Inghilterra. È stato lì che ho davvero cominciato a elaborare la mia personale voce come pittore e illustratore, e ho creato le prime opere che sentivo veramente mie. Dopo la laurea mi sono messo a dipingere insegne, verniciare barche e altri lavoretti, ma ben presto ho trovato la mia strada come illustratore per l’editoria e la pubblicità. Inoltre lavoro su progetti personali.

Da cosa trai ispirazione?

Sperimento e prendo ispirazione da tante cose; inoltre guardo sempre oltre il mondo dell’arte visiva. Come musicista devo molto alla musica folk e alle storie popolari. Anche la natura mi è di grande ispirazione, soprattutto quando viaggio per fare trekking e nuoto in posti meravigliosi.

Quali tecniche preferisci?

Uso una combinazione di tecniche tradizionali e digitali. Inizio con matite e acquerelli, poi scansiono il dipinto per manipolare il colore, la composizione e la texture tramite Photoshop. Molte delle mie texture sono cose che ho trovato o realizzato a mano, per poi trasporle in digitale. Ho un’enorme libreria di texture, tra cui pezzi di legno, carta invecchiata, lastre per acquaforte usate e perfino materiali organici come le foglie, che poi trasformo in dipinti.

Che cosa pensi di Cinquerosso Arte?

Credo che sia un ottimo modo perché il mio lavoro possa raggiungere un nuovo pubblico! Mi piace vedere quello che succede quando una mia opera si trova in un nuovo contesto, perché questo le dà respiro e diventa parte della sua storia.

Leggi l’intervista a Sebastiano Sallemi!

pittura analitica geometrica colori pastello

Sebastiano Sallemi – Alla ricerca dell’essenziale

Insegnante di Discipline plastiche e artista, va alla ricerca dell’essenziale. Sebastiano Sallemi vive di forme, colori, luci e suoni. Il suo percorso lo ha portato ad avvicinarsi alla pittura analitica, tra sperimentazioni e progressiva semplificazione.

Raccontaci il tuo percorso artistico.

Ho iniziato ad avvicinarmi alla pittura all’istituto d’arte ed è stato un amore a prima, anche grazie a ottimi professori che mi hanno avviato verso questa forma espressiva. Ho poi continuato incessantemente a disegnare e dipingere, approfondendo anche la conoscenza dei diversi materiali. All’accademia ho iniziato a utilizzare legno, cartoni speciali, vernici e così via. Dopo tre anni di studio del restauro mi sono specializzato in scultura, e oggi sono insegnante di Discipline plastiche, ma il mio rapporto con la pittura non si è mai interrotto. È stato un percorso che ha attraversato diverse fasi. All’inizio, nell’ambito del plastico, mi sono ispirato a grandi artisti come Louise Nevelson, nota per l’uso di materiali di recupero. Poi via via mi sono spostato verso la pittura e in particolare la pittura analitica.

Di che cosa si tratta?

La pittura analitica è una corrente artistica nata in Italia negli anni Sessanta, che ruota intorno allo studio dei materiali e tende a un’estrema semplificazione delle forme. Mi sono così ritrovato a usare il legno, che è un materiale da scultura, in ambito pittorico, e poi via via di sperimentazione in sperimentazione sono arrivato alla mia produzione attuale. L’elemento principale è per me il colore, e tendo a un’estrema semplificazione delle forme, che nei miei dipinti sono soprattutto forme geometriche.

Puoi descriverci il tuo processo creativo?

Il mio processo creativo parte dall’osservazione, e in particolare dall’osservazione della natura, a cui si associano ricordi visivi degli anni passati in giro per l’Italia. A questi ricordi, a questi paesaggi, associo i colori della mia terra (sono nato in Sicilia). A un certo punto ho iniziato ad associare colori, forme e suoni e ho creato una serie di lavori che dal titolo “Rumori bianchi”, in riferimento ai rumori che inducono rilassamento. In queste opere ho pensato di utilizzare il colore allo stesso scopo. Mi piace che i miei quadri diano a chi li guarda un senso di pace.

Stai lavorando a qualche progetto particolare in questo momento?

Sì, oggi sto lavorando su superfici dipinte con colori molto tenui, che fanno pensare a muri screpolati, antichi. Questo progetto mi piace molto perché mi permette di tenere insieme un discorso sulla luce e sul suono aggiungendo anche la dimensione del tempo. Questa idea di creare superfici che possano dare un senso di datato l’associo, fondamentalmente, a tutto ciò che è stato creato dall’uomo e che viene tramandato dall’uomo. 

Come ti trovi con Cinquerosso Arte?

Ho scoperto il sito tramite i social e devo dire che mi ha colpito particolarmente il fatto di poter riprodurre la pittura attraverso stampa ad altissima qualità. Trovo che sia un’idea interessantissima perché – tra le altre cose – permette agli artisti emergenti di lavorare e farsi conoscere. Inoltre lo staff di Cinquerosso Arte è davvero molto serio e professionale.

Leggi l’intervista a Mattia Perru!

pesci colori scuri blu opere

Mattia Perru – Tra il noto e l’ignoto

Le opere di Mattia Perru entrano in profondità nella mente dello spettatore, attivando emozioni e pensieri che sfiorano la superficie dell’inconscio. E intanto l’artista cerca la strada verso l’estrema sintesi.

Mattia, che cos’è l’arte per te?

Ho sempre praticato l’arte in modo disinvolto, senza farne un progetto di vita. Sono un ingegnere meccanico e lavoro appunto in un’azienda manifatturiera; qualcosa di piuttosto distante dalla pittura. Vengo però da una famiglia in cui comunque c’era interesse per l’arte visiva, in particolare da parte di mio padre. Diciamo che, fino a un anno fa, dipingere era per me un’attività rilassante per i ritagli di tempo. Solo da un anno a questa parte ho deciso di farlo in modo continuativo e vorrei che diventasse un’attività più strutturata.

Le tue opere sono piuttosto profonde. C’è molto pensiero dietro?

Sì, quasi sempre c’è una progettualità pregressa. Prima di mettermi a dipingere immagino lo scenario che vorrei rappresentare. Magari non ho già chiaro il soggetto, ma quantomeno so qual è l’atmosfera che vorrei creare. È da lì che parto. A volte, se non riesco a mettermi subito all’opera, prendo appunti. In genere nei miei lavori ci sono ambienti e figure piuttosto riconoscibili, ma vorrei spostarmi piano piano verso una maggiore astrattezza. Non ho ancora il dono della sintesi estrema e quindi non riesco a sentirmi a mio agio in un contesto astratto, ma aspiro a quello. Quando ci provo, mi accorgo di finire nel manierismo e vorrei evitarlo. La sintesi non è semplice perché è molto più facile aggiungere che togliere.

In ogni caso le tue opere sono piuttosto potenti. Ricordano i capolavori del surrealismo.

Prima di tutto grazie. In effetti amo molto Magritte, e in generale apprezzo l’intimità di alcune atmosfere. Come dicevo, nelle mie opere ci sono figure riconoscibili perché mi piace il realismo del dettaglio, ma non sono interessato al realismo della situazione, alla riproduzione pura e semplice della realtà. Mi interessa il dettaglio realistico decontestualizzato. Mi piace appunto creare atmosfere che conciliano l’introspezione. Tendo per esempio ai toni scuri e mi viene istintivo creare opere con ambientazioni crepuscolari e notturne. Forse perché sono le ore in cui c’è più tranquillità, in cui vengono meno le interferenze ed è più facile pensare.

Cosa ti piacerebbe che le persone provassero davanti a una tua opera?

Vorrei che provassero una sensazione di familiarità e allo stesso tempo straniamento. Vorrei che vedessero qualcosa che gli sembra di conoscere ma che non riescono a capire del tutto, come quando si cerca di ricordare un sogno. Mi capita di vedere opere in cui non c’è un dettaglio che mi colpisce, non c’è una situazione più o meno interessante, ma c’è una sensazione di smarrimento: mi sembra di riconoscere qualcosa di familiare che ho dimenticato. Quella sensazione mi piace molto e vorrei che le persone potessero provarla davanti alle mie opere. Vorrei che si sentissero toccare nell’inconscio.

Come ti trovi con Cinquerosso Arte?

Mi piace, perché è tutto gestito in modo molto professionale e curato, anche per quello che riguarda le presentazioni sul sito. Purtroppo non ho potuto partecipare alla reunion dell’anniversario perché ero all’estero, ma spero che ci saranno altre occasioni.  

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