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Andrea Rocchi – Il mio lavoro è passione, emozione, ricerca

Titolare dello studio omonimo di Interior design e responsabile del settore HoReCa per l’AIPI l’Associazione Italiana Professionisti Interior designers, Andrea Rocchi è l’interlocutore ideale per parlare del rapporto tra architettura e arte nella contemporaneità.

Può parlarci del suo lavoro?

Ho uno studio di architettura di interni specializzato nel settore HoReCa, ovvero progetti per hotel e locali food. Oggi ho una decina di collaboratori e gestiamo quasi esclusivamente progetti per grandi aziende, società per azioni e alberghi partendo dalla categoria quattro stelle a salire. Inoltre sono responsabile nazionale dell’Aipi, l’associazione Italiana Professionisti Interior Designers, per quanto riguarda il settore HoReCa.

Quali sono le particolarità del suo studio?

Ce ne sono almeno due. Oltre ad avere architetti e ingegneri che si occupano delle questioni più tecniche, sono presenti architetti che si occupano di comunicazione e di grafica legata al mondo del food. Ritengo indispensabile curare anche questo aspetto per dare corpo a progetti di valore. Invece di appoggiarmi all’esterno, ho preferito gestire la comunicazione, ormai parte integrante dei nostri progetti, in modo complementare al progetto di interior.

La seconda particolarità, e in questo siamo quasi unici, è che ho sempre una o due persone che si occupano di operare nella ricerca legata al design. Cerchiamo di capire quello che succederà nel futuro, il che significa sia monitorare le evoluzioni tecnologiche (e quindi intravedere quali potrebbero essere le novità che le aziende proporranno) sia mantenere un osservatorio sulle nuove tendenze. Ed è qui che subentra il ruolo dell’arte, perché le tendenze sono legate allo stile, al gusto. Quando parlo di arte non mi riferisco solo all’arte figurativa, ma anche alla musica, al cinema, al teatro: tutte cose che approfondiamo e seguiamo per nutrire le nostre proposte. Cerco di farmi capire con un paragone: noi non facciamo prontomoda, cerchiamo di sfilare in passerella, provando a proporre soluzioni sempre nuove e in linea con i tempi. Con la differenza che la moda, dal punto di vista analitico, ha una cadenza di ricerca stilistica di tipo annuale, mentre nel nostro settore si lavora su ritmi che vanno dai tre ai sei anni.

Un’altra cosa a cui tengo molto è il concetto di formazione continua. Per fare questo lavoro, come del resto per ogni lavoro con una forte componente individuale, servono due cose: una certa predisposizione – un talento diciamo – e un impegno continuo per ampliare le proprie visioni e migliorare le proprie tecniche. Quando effettuo un colloquio alla ricerca di collaboratori per il mio studio non guardo le conoscenze tecniche eccetera, ma guardo passione, etica e obbiettivo della persona, perché sono certo che, se presenti, tutto funzionerà al meglio.

Che cosa le dà motivazione nel suo lavoro?

La mia motivazione è poter dare qualcosa alle persone che vivranno, lavoreranno o si troveranno a frequentare gli ambienti che progetto. La prima cosa che possiamo dare è un’emozione, quella che si ricava di primo impatto. Le ricerche dimostrano che noi ricaviamo una prima impressione in sette secondi, sette secondi che saranno decisivi nel nostro giudizio.

A questa impressione preliminare seguirà poi un giudizio vero e proprio, che ha a che fare con l’esperienza che le persone si ritrovano a vivere e che possiamo riassumere con la parola comfort, ovvero quanto ci fa stare bene e ci emoziona l’ambiente in cui ci troviamo.

Tutte le volte che mi capita di parlare in pubblico sottolineo quanto sia importante l’emozione. Dobbiamo provare emozioni lavorando, per poter emozionare i nostri clienti che magari si commuoveranno vedendo il loro nuovo locale, e per poter emozionare gli ospiti che in quel locale si ritroveranno.

Che ruolo ha l’arte nell’interior design, dal suo punto di vista?

È importantissima, per due motivi. Intanto perché negli hotel e nei locali che arrediamo utilizziamo molte immagini create da artisti – dai quadri ai motivi sulla carta da parati –, ma anche perché l’arte è indispensabile per quel processo di formazione continua di cui parlavo prima. Insisto molto con i miei ragazzi perché vadano a vedere mostre e si tengano aggiornati su quello che accade nel mondo dell’arte, perché è così che si forma il gusto. Che cosa rende gli italiani così diversi dagli altri? Perché siamo così apprezzati nel mondo? Perché nasciamo, cresciamo e viviamo in mezzo all’arte. Le nostre città sono bellissime, studiate da architetti, piene di statue e iconografie legate alle diverse epoche. I nostri occhi, la nostra mente, si abituano alle cose belle: moda, design, arte, architettura, musica, letteratura.

Che cosa pensa di Cinquerosso Arte?

Trovo che sia una bellissima iniziativa, qualcosa che mancava nel nostro settore. Nessuno mai aveva pensato di mettere insieme artisti da proporre agli studi di architettura che lavorano nel campo dell’ospitalità e della ristorazione, offrendo sia qualità sia prezzi compatibili con i budget di un allestimento. Per questo, appena sono venuto a conoscenza di Cinquerosso Arte ho deciso di coinvolgerla nei prossimi progetti.

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Anita Bortolotti – Mondi fantastici per guardare oltre

Anita Bortolotti ha iniziato a disegnare nella sua casa nel bosco, e la sua fonte di ispirazione rimane la natura. Una natura che viene però trasfigurata fino ai limiti dell’astratto, per aprirsi a tutte le interpretazioni possibili.

Anita, raccontaci di te.

Ho sempre avuto la passione per il disegno e l’illustrazione. Ricordo che, da bambina, ancora prima di mettermi a tavola per la colazione già disegnavo. Ho avuto la fortuna di crescere in mezzo alla natura, in una casa nel bosco, e ne ho ricavato tanta ispirazione. In seguito, avendo frequentato un liceo classico ho dedicato davvero poco tempo a questa passione, ma poi sono stata ammessa all’ISIA di Urbino dove ho studiato progettazione grafica e comunicazione visiva.

Studiando mi sono sempre più convinta che la mia strada fosse quella delle illustrazioni, o comunque delle arti visive; ho sperimentato varie tecniche, dalla serigrafia alla tipografia a caratteri mobili alla fotografia, e questo mi ha permesso di ampliare le mie capacità anche nell’ambito dell’illustrazione. Ho cercato, insomma, di arricchirmi attraverso la conoscenza delle diverse forme espressive e dei diversi strumenti, senza più smettere di realizzare illustrazioni. Ora vorrei frequentare un master per specializzarmi ulteriormente.

Come nascono le tue opere?

Anche oggi la mia fonte d’ispirazione primaria resta la natura. Nelle mie opere ricorrono forme naturali, ma a partire dall’ispirazione originale quelle forme e quei colori cambiano e si fanno sempre più astratti. Anche il volto umano mi ispira molto.

Quando non ho un obiettivo preciso da raggiungere posso dare libero sfogo alla mia creatività; allora parto da una visione primaria, nel senso che immagino più o meno quello che voglio realizzare,  e poi lascio molto spazio anche alla gestualità, in modo istintivo. Nel farlo attingo al mio background, cioè alle tantissime immagini che ho avuto e ho sotto gli occhi, ma anche ai miei studi e alle mie letture. Da piccola mi sono stati letti tantissimi libri illustrati, il che mi ha permesso di costruirmi una cultura visiva che ovviamente continua ad ampliarsi. Le mie opere non sono pure rappresentazioni di quello che vedo, ma sono piuttosto un modo per esprimere quello che sento: la mia è un’arte molto emotiva. Ne viene fuori qualcosa che per me ha un significato preciso, ma mi piace che possa essere interpretato liberamente dagli altri.

Ti è capitato di ricevere commenti che ti hanno stupita?

Sì. Per esempio, durante la pandemia avevo realizzato un’illustrazione in cui rappresentavo i collegamenti tra le persone e la loro capacità di adattarsi alla situazione che stavano vivendo; molti invece hanno notato di più l’interdipendenza tra queste persone. È stato interessante verificare come questo significato, che non avevo previsto, sia venuto fuori spontaneamente. Vuol dire che un’opera può produrre tanti spunti di riflessione: è un modo per confrontarsi e far emergere sempre qualcosa di nuovo.

Dunque la tua è un’arte emotiva ma anche riflessiva, qualcosa che induce a pensare.

Lo spero. Sicuramente nasce dalle emozioni che provo e, come dicevo, dal mio background. Ne vengono fuori mondi fantastici, astratti, e mi piace pensare che possano ampliare gli orizzonti di chi guarda.

Come ti trovi con Cinquerosso Arte?

Sono contentissima, intanto perché ho conosciuto Francesca che è una persona stupenda a livello umano e professionale. Abbiamo avuto l’occasione di fare un pranzo tutti insieme, così ci siamo conosciuti e ho avuto la possibilità di sentire parlare di arte da persone di diverse età, con esperienze così differenti tra loro. È una bellissima occasione per crescere, considerando che ho solo 22 anni.

Scopri le opere di Anita Bortolotti!

Giovanni Mercatelli – L’avventura dell’arte

Malgrado la giovane età, Giovanni ha le idee chiare sul suo futuro e vorrebbe dedicare la sua vita all’arte. Le sue opere riflettono una personalità energica, poliedrica e appassionata, che lo ha già portato in giro per il mondo.

Giovanni, raccontaci di te e del tuo rapporto con l’arte.

Il mio rapporto con l’arte inizia in un’epoca di cui non ho memoria. Mia madre mi racconta che tornavo a casa dall’asilo tutto sporco perché mi rotolavo nei colori, su tele enormi. E anche a casa ero circondato da materiali artistici perché mia madre realizzava (e realizza tutt’ora) bellissime cornici in cartapesta; inoltre è un’interior designer ed è sua abitudine visitare mercatini e portare a casa bellissimi oggetti che per me sono sempre stati fonte di ispirazione. Mio padre invece dipinge con gli acquarelli; la sua particolarità è che dipinge sempre lo stesso soggetto, un panorama marino, forse perché ha nostalgia dei tempi in cui viveva ai Caraibi. Così ho sempre respirato arte e ho continuato a disegnare anche da adolescente, ma questa passione ha iniziato a prendere una forma definita quando – a 19 anni – mi sono trasferito in Olanda per studiare.

Eri andato a studiare arte?

No, design industriale del prodotto. Purtroppo non mi sono trovato bene: la città, il clima, non mi piacevano e sono stati tre anni piuttosto duri durante i quali mi sfogavo appunto disegnando. L’arte, quindi, è arrivata come via di salvezza, come sfogo.

I disegni di quel periodo erano molto scuri, molto viscerali. Già allora emergevano i richiami al mondo del fumetto, perché l’altro sistema che avevo trovato per consolarmi era leggere Hugo Pratt. Corto Maltese è per me fonte di grande ispirazione: sogno una vita avventurosa come la sua e proprio per questo dopo la laurea triennale sono andato a vivere in un’isola dall’altra parte del mondo: a Key West.

L’isola di Hemingway.

Esatto. È il punto più a sud degli Stati Uniti d’America, nello stato della Florida, di fronte a Cuba. Ero ospite di un’amica di famiglia che ha una galleria d’arte dove espone tutti gli artisti locali. Mi sono ritrovato quindi circondato da opere d’arte che straripavano di colori. Per me era una novità assoluta, perché in quel periodo disegnavo solo in bianco e nero con la penna a china. Sono rimasto lì circa un anno. Mi mantenevo lavorando come muratore e intanto scoprivo gli acquarelli, portando il colore nei miei disegni. Il mio periodo a Key West è stato molto solitario, perché mi sono trovato lì nel periodo della pandemia e sull’isola vivono solo anziani, ma è stato anche molto sereno.

E dopo?

Sono tornato in Italia per frequentare un master sulla sostenibilità, che ho poi terminato in Olanda. A quel punto però ho deciso di dedicarmi all’arte con maggiore serietà e ho cominciato a ritagliarmi del tempo. Disegnavo e disegnavo, e nella mia mente si andava chiarendo il proposito di “fare le cose in grande”. Ho preso quindi la decisione che, una volta terminato il master, sarei tornato a casa e avrei iniziato a dipingere con più assiduità, anche per vedere se le mie opere potevano piacere a qualcuno. Penso che sia la mia strada e vorrei seguirla fino in fondo. Vorrei mantenermi con l’arte e avere una vita avventurosa, come dicevo.

Come nascono le tue opere?

Comincio a distinguere due processi: uno è quello istintivo, per cui disegno senza pensare; il secondo invece parte da un’idea, da qualcosa che vedo intorno a me, da un ricordo, un oggetto, una lettura. Mi accorgo inoltre di avere dei colori preferiti che uso spesso: rosa di Venezia, il giallo, il verde laguna. Tra le mie fonti di ispirazione c’è il regista Wes Anderson e mi accorgo di usare una palette molto simile alla sua.

Come ti trovi con Cinquerosso Arte?

Molto bene! Mi sono divertito tantissimo all’evento del 5 maggio scorso, e sono stato felice di conoscere gli artisti. Inoltre è stata la prima volta che ho visto esposte le mie opere e ho potuto notare come reagivano le persone nel guardarle. Sto imparando tanto grazie a Cinquerosso Arte.

Scopri le opere di Giovanni Mercatelli!

Polina Stepanova – L’alchemica ricerca di sé

Con la sua arte gestuale, basata su imprevedibili traiettorie e imprecise alchimie, Polina imita la forza generatrice della natura. Ama l’idea di un’arte “aperta”, che possa giungere ovunque.

Polina, raccontaci il tuo percorso nell’arte.

Tutto è iniziato abbastanza presto, in famiglia. Mio padre studiava arte e mia madre studiava moda a San Pietroburgo, dove si sono incontrati. Sono quindi cresciuta in questo mondo e ho frequentato una scuola di moda e design, dove ho potuto praticare anche musica e altre discipline. Insomma, avevo davanti a me tante possibilità. Da piccola volevo diventare astronauta, e oggi mi ritrovo a fare quadri ispirati all’astrologia e alla natura: la vita prende strane strade.

Ho lasciato San Pietroburgo per andare in Belgio, a frequentare l’Accademia di belle arti di Anversa,  e ho cominciato a studiare moda. Mi sono laureata, ma soprattutto ho vissuto quattro anni abbastanza intensi, dove mi perdevo e mi cercavo in continuazione: avevo bisogno di capirmi per decidere quale potesse essere il mio futuro, da questo l’alchemica ricerca di sé. Anche in questo caso avevo la possibilità di conoscere discipline collegate all’arte, che mi aiutavano anche ad esprimermi dal punto di vista emotivo, e non solo tecnico. In seguito ho vissuto a Londra e a Parigi, e circa dieci anni fa mi sono trasferita in Italia per una consulenza, pensando di fermarmi per un breve periodo: invece sono ancora qua e ho due bimbi. Lavoro come consulente per la moda, e mi occupo di previsioni sulle nuove tendenze collegando moda, sociologia e antropologia; inoltre insegno al Polimoda di Firenze.

Hai sempre continuato a dipingere, al di là di questo lavoro?

In parte sì. Facevo consulenze per la stampa, realizzavo illustrazioni per clienti privati, ma solo un anno fa ho deciso di dare più spazio all’arte. Forse il nome artista mi suonava un po’ troppo forte e non mi definivo mai così: un anno fa, invece, ho deciso di cominciare questo percorso, raccontandolo di più, contattando più persone. Così ho incontrato Francesca e Cinquerosso Arte, e ho conosciuto altre gallerie.

Da cosa nascono le tue opere?

Sono molto ispirata dalla natura, ma da natura diciamo “pagana”, come forza elementale e genitrice. Mi piace pensare alla natura di quando non c’erano ancora esseri umani, che poi abbiamo tradotto come energia: il caos, il buio, il tramonto, il sole, la nascita. La natura, insomma, nelle sue manifestazioni più primordiali. E per questo mi ispiro spesso alla mitologia e alle religioni pagane. È interessante notare i punti di contatto con la scienza. Prendiamo l’elettricità, per esempio. Siamo abituati a pensare all’elettricità come a qualcosa di tecnico, un prodotto della conoscenza, invece questa forza era lì all’inizio dei tempi: è  in ogni atomo, in ogni cellula. Ho realizzato una serie di dipinti che si chiama Electricity ed Electric Sky, che traggono ispirazione proprio da questa riflessione.

Un’altra serie si intitola First Beings, i primi esseri, che sono proprio le idee del vento, dell’aria, i primi elementi. Altre serie sono collegate ai segni zodiacali, al loro rapporto con gli elementi, all’energia più mutabile e a quella più stabile, l’energia della distruzione, del fuoco, oppure dell’acqua, del cambiamento.

Raccontaci la tua tecnica, che è piuttosto particolare.

Mi ritrovo molto nella tecnica chiamata Gesture Painting, la pittura del gesto. Sto lavorando con inchiostri a base di resine naturali, estratte dagli insetti, che sono idrorepellenti e non si diluiscono: in questo modo si creano forme abbastanza inaspettate. Inoltre io non tocco la carta: verso l’inchiostro e guido la traiettoria di caduta senza riuscire a prevedere del tutto quello che accadrà.

In questo modo la materia si trasforma, come si trasforma anche la natura: è l’ignoto che mi piace. Mi sento libera dal bisogno del controllo. Anche quando un cliente mi richiede un’opera, può esprimere preferenze per un colore o una certa forma, ma non ha certezze.

Cosa pensi di Cinquerosso Arte?

Sono stata molto felice di essere stata contattata da Francesca. Mi è piaciuta molto questa visione di un’arte coinvolgente, aperta a tutti. Lavorare con le riproduzioni ad altissima qualità è qualcosa di simile a quello che sta accadendo nel mondo della moda: c’è il pezzo unico e poi c’è il pronto moda. Quello che fa Francesca è “pronto arte”, e lo trovo molto interessante.

Mi sento in sintonia anche con il modo in cui vengono selezionati gli artisti, non in base al curriculum ma in base a passione, talento e ricerca: c’è chi ha seguito un percorso accademico, chi ha sempre lavorato con gallerie, accanto a chi ha appena iniziato il suo percorso. Anche la possibilità di creare una comunità di artisti mi piace moltissimo.

Scopri le opere di Polina Stepanova!

Giuseppe Barilaro crea per distruggere. Intervista dell'artista

Giuseppe Barilaro – Voglio lasciare tracce di vissuto

Giuseppe Barilaro crea per distruggere, produce forme che poi lacera, perché quello che gli preme è esprimere il qui e ora dell’azione artistica. E si dice perfettamente felice quando un suo quadro viene lungamente discusso.

Giuseppe, qual è stato il tuo percorso fin qui?

Ho studiato all’Accademia di Belle arti di Catanzaro e mi sono laureato in Decorazione e Decorazione per arti sacre. Il seguito è arrivato in modo del tutto spontaneo; ho iniziato a dipingere in modo accademico, ma ben presto ho perso interesse e sono passato a studiare psicologia. Più tardi ho cominciato a frequentare gli obitori di Catanzaro assistendo a sessioni mediche, e lì mi sono innamorato del corpo umano con le sue patologie.

A un certo punto ho cercato di riversare tutto questo nell’arte. Parto dalle tecniche classiche, ovvero pittura a olio, acrilico, tempera, e soprattutto la composizione ortodossa, che comprende colore e forma, e dipingo in modo iperreale, dopodiché distruggo letteralmente il quadro con la combustione e vado a lacerare tutte le forme che avevo creato in precedenza.

Voglio che la pittura emerga da sola, in quello che rimane dopo la combustione. A questa pratica ho dato il nome di una patologia, la prosopagnosia:  l’individuo non riconosce il volto del soggetto e lo vede in modo diverso, oscurato, frammentato.

Come mai questa scelta?

Nella mia personale filosofia, il volto è l’unica parte vergine dell’essere umano. In una persona, il volto è ciò che è leggibile da tutti ed è sempre soggetto a giudizio.

Dopo aver distrutto il volto, utilizzo una “lava rossa”, il colore viene versato sul supporto e con la fiamma viene letteralmente bruciato, successivamente viene lacerato con la lama di un taglierino. La mia è un’azione artistica che ricorda quello che avviene in sala operatoria. Bruciando il colore, lo faccio addensare e poi lo taglio con il bisturi. Questa pelle rossa lacerata è un’esplosione da cui emergono altri colori.

Queste lacerazioni rimandano anche alla terra, ai solchi che vengono tracciati per le coltivazioni, tanto che ho creato una collezione di 15 quadri che ho chiamato “Tra l’aratro e la terra incolta”.

Che cosa ti spinge a dipingere?

Voglio lasciare tracce tangibili, nette e cattive. Sono convinto che l’arte debba cambiare alcuni codici. Le mie lacerazioni sono tracce di vissuto, che tengono conto di quello che succede nel mondo: quello che vedo è un’immensa distruzione, un po’ alla Schopenhauer. Mi affascina l’idea che nelle mie opere rimanga ben poco del soggetto. Che ci sia un matrimonio tra il soggetto stesso e l’atto distruttivo, qualcosa che – nella nicchia di un quadro – testimoni il fatto che “lì” è avvenuto qualcosa. Come per i solchi di cui parlavo prima, in cui c’è uno sposalizio e la terra attende l’acqua per germogliare.

L’arte per me deve abbandonare la retorica, non deve dire nulla, ma trovare il tempo esatto nel luogo giusto.

Normalmente si parla degli artisti come persone creative. Tu ti definisci più creativo o distruttivo?

Devo dire che a me non piacciono molto le parole “artista” e “creatività”. Preferisco essere in quel luogo con quell’oggetto, per qualcosa che sta per avvenire. Potrei definirmi alchimista, anche se è una parola piuttosto abusata. Se proprio devo definirmi, preferisco dire che sono un pittore. Quello che mi dà soddisfazione è sapere che un mio quadro ha trovato la giusta collocazione, ha trovato casa, magari in un contesto che non avevo previsto. Questo mi affascina dell’arte.

Quindi come immagini una tua opera in un’abitazione o in un albergo, per esempio?

È proprio quello che mi piace, perché vorrei che i miei quadri fossero difesi e discussi. Vorrei che le persone non si limitassero a guardarli. Per questo preferisco che vengano comprati da chi ha poche potenzialità economiche. Se un mio quadro viene acquistato da un collezionista finirà insieme ad altri quadri come oggetto da collezione, appunto. Invece a me affascina l’idea che un mio quadro sia lì davanti agli occhi mentre le persone sono a tavola, e diventi oggetto di discussione. Vorrei che portasse emozioni, sentimenti e quindi anche bisogno di parlare e condividere. In tutto questo, l’artista deve rimanere dietro le quinte, lasciando la scena al quadro stesso.

Che cosa pensi di Cinquerosso Arte?

È una meraviglia! Sono veramente innamorato delle persone che fanno parte del progetto e della loro produzione. E poi il clima che si respira è di grande affetto: quando sono stato a Bologna ho fatto il pieno di sorrisi.

Scopri le opere di Giuseppe Barilaro!

opere in tecnica mista collage su sfondo colorato

Erika Garbin – L’arte è per me terapeutica

Erika è riuscita a coniugare due grandi passioni – l’arte e l’amore per gli altri – occupandosi di arteterapia. Il suo è un mondo complesso e profondo, perché la sua arte indaga e mette in discussione gli schemi mentali in cui tutti in qualche misura rischiamo di restare intrappolati.

Erika, parlaci della tua storia.

Il mio battesimo nel mondo dell’arte risale a quando ero piccolissima. Avevo infatti uno zio che dipingeva e mi portava spesso con sé. Mi piaceva tantissimo andare in giro con lui e i suoi acquarelli per vederlo dipingere. Per questo ho sempre avuto le idee chiare: volevo frequentare il liceo artistico e poi l’Accademia di belle arti e così è stato. Purtroppo non è facile mantenersi con questo tipo di formazione, ma ho seguito un’altra passione e ho iniziato a lavorare nel sociale. Ho trovato lavoro in una comunità psichiatrica come operatore, mi hanno dato la possibilità di fare attività di pittura e così ho iniziato a studiare arteterapia. Da allora ho sempre associato l’arte alla disabilità e alla psichiatria, in tutti i settori e con persone di ogni età. Attualmente lavoro in un Centro medico polifunzionale e tengo laboratori creativi in una piccola scuola frequentata da ragazzi con disabilità importanti, tra cui l’autismo.

Che cosa accade nella vita di questi ragazzi quando incontrano l’arte?

Il primo beneficio è l’effetto rilassante. In genere i ragazzi hanno bisogno di trovare un ambiente che li tranquillizzi, dove possano concentrarsi. Riuscire a far stare un ragazzo in un’aula, diminuire i vocalizzi, evitare che gironzoli a vuoto e ridurre l’aggressività sono risultati molto importanti. Quando dipingono si rilassano, mentalmente e fisicamente. Per me i loro disegni sono vere e proprie opere d’arte e tante volte prendo spunto da quello che fanno. Le persone neurodivergenti hanno una libertà espressiva che noi non abbiamo, e questo può essere fonte di ispirazione. Per me è stato importante confrontarmi con loro, perché quando ho ripreso a “produrre” arte, dopo l’Accademia, avevo un po’ perso la mano con il disegno: così ho iniziato con il collage, una tecnica che uso molto con i miei ragazzi e che ho via via approfondito per le mie opere.

Ci sono temi ricorrenti nelle tue opere?

Da un po’ di anni lavoro sul concetto di “femminile”, in modo un po’ provocatorio. Nei collage, per esempio, ricorrono spesso queste figure di donne un po’ patinate e stereotipate che arrivano da riviste degli anni Sessanta, dove si spiegava come stirare, come cucinare eccetera. Da lì ho proseguito stampando su cartamodelli e realizzando lavori con ago e filo: mi sono messa insomma a rammendare immagini e oggetti.

Che cosa c’è dietro questo tuo rammendare?

Ecco, non mi è stato subito chiaro ma credo che sia un po’ come riparare una ferita. Questa dimensione familiare stereotipata, dove c’è la donna con tutti i suoi compiti ben definiti e ripetitivi, è per me qualcosa che richiede un intervento. Anche questo per me è terapeutico. L’opera la chiamo “prodotto”, perché è la testimonianza di qualcosa che è accaduto, di un atto che ha avuto un effetto su di me e che ha lasciato bei segni. 

Cosa pensi di Cinquerosso Arte?

Credo che sia una bella iniziativa. Ho visto un’attenzione, una cura particolare e mi dispiace di poter partecipare poco ai diversi incontri tra i collaboratori. Comunque ho già pronti dei lavori che vorrei inviare, per cui spero che presto ne vedrete di nuovi.

Scopri le opere di Erika Garbin!

Rocco Casaluci – Il mio è un allenamento al guardare

Figlio e fratello di fotografi, Rocco Casaluci ha sempre vissuto tra pellicole, obiettivi e carta fotografica, ma anche tra palcoscenici e stradine di campagna, con lo sguardo limpido e acuto dell’osservatore.

Rocco, parlaci di te.

Sono nato in Salento e, dopo una parentesi veronese durante la quale ho lavorato come apprendista nello studio di uno dei miei fratelli, ho vissuto gran parte della mia vita a Bologna. La mia formazione tecnica è poi proseguita lavorando per diverse gallerie d’arte, nella riproduzione di opere e creazione di cataloghi. Parallelamente ho sempre portato avanti una grande passione per il teatro, e per gli strani casi della vita sono riuscito a conciliare le due cose diventando fotografo ufficiale del Teatro Comunale di Bologna, dal 2007 sino al 2021.

Tra tutti gli aspetti del lavoro di un fotografo, quello che ho sempre amato di più è il momento della stampa. Come sappiamo, per tutto il Novecento e fino all’avvento del digitale la figura del fotografo era molto diversa da quella di oggi: si lavorava in camera oscura e ci volevano strumenti, materiali e capacità che non erano alla portata di tutti. 

La tua professione ha influito sul tuo sentire di artista?

Sì, il teatro mi ha permesso di “unire i puntini”. La fotografia di scena non è interpretativa, nel senso che bisogna rispettare il lavoro di tutti e valorizzare lo spirito dell’opera, ed è molto tecnica. Questo mi ha portato ad assumere il ruolo di osservatore privilegiato, perché lavoravo durante le prove, a stretto contatto con registi e attori. Inoltre, questa professione mi ha addestrato all’attesa. Assistevo alla nascita dello spettacolo, e si trattava proprio di aspettare il momento giusto, quello decisivo. Del resto io venivo dalla scuola dell’analogico, che era già fatta di tempi lenti e di attese: il tempo dello scatto, quello dello sviluppo, della selezione, della stampa ed eventualmente del ritocco. Come dice l’etimologia stessa, la fotografia è un descrivere con la luce.

E oggi cos’è?

Oggi tutto avviene a ritmo di corsa, in una sorta di bulimia di immagini. A me invece piace la fotografia che permette di osservare i dettagli. In una scena, per esempio, non mi interessa solo il focus principale, ma anche quello che c’è intorno. Le tende di pizzo di Sangallo, il signore in un angolo che legge il giornale, una fotografia che – come la vita – è più bella se è presente nel qui e ora.

La tua fotografia è cambiata nel tempo?

Sì, è andata asciugandosi fino ad arrivare al progetto che ho presentato a Cinquerosso Arte: Sponte plantis. Come dicevo, ho sempre amato il bianco e nero e in questo progetto lo applico all’estremo, sottraendo colore a fiori e piante, disposte su uno sfondo neutro. Quello che cerco di fare con la mia fotografia è un allenamento al guardare, non solo al vedere; qualcosa per cui bisogna andare oltre l’occhio come organo della vista ma passare all’organo della mente. Utilizzo un obiettivo macro per cogliere ogni dettaglio e indurre lo spettatore a soffermarsi, ad avvicinarsi per osservare da vicino. Scelgo piante spontanee, umili, che passano inosservate anche per effetto della velocità con cui ci muoviamo, e le tratto come se fossero persone, come se facessi un ritratto della pianta. Lavoro molto in studio, ma ci sono casi in cui invece è meglio andare sul campo per poter catturare un particolare momento, per esempio la schiusa dei petali. La natura è veramente incredibile, con le sue geometrie e le sue architetture, e non finisce mai di sorprendere.

Come ti trovi nel team di Cinquerosso Arte?

Sono contento e grato di essere stato coinvolto, perché condivido molto l’idea di un’arte alla portata di tutti gli amanti del bello, non solo di chi è più facoltoso. Io stesso amo trasformare le mie opere in piccoli oggetti da regalare alle persone a cui tengo. L’arte così è un gesto d’amore.

Scopri le opere di Rocco Casaluci!

Cinquerosso Arte al SIA, Salone internazionale dell’accoglienza Pad D5, Stand 085

Dall’11 al 13 ottobre, Cinquerosso Arte sarà presente con un proprio stand al SIA Hospitality Design di Rimini, una delle principali vetrine italiane per il settore alberghiero e in generale per le strutture ricettive. Il SIA Hospitality Design è entrato a far parte di InOut|The Contract Community, e si svolgerà in contemporanea con TTG Travel Experience. Sarà quindi un enorme evento dedicato a ospitalità e turismo, settori in cui l’Italia ha tanto da offrire.

Cinquerosso Arte esporrà la sua ampia selezione di opere d’arte portandola all’attenzione di architetti, contractor, proprietari di hotel e decision maker di strutture ricettive, ovvero a tutti coloro che possono essere interessati a migliorare l’esperienza dell’ospite con l’arte di qualità.

I principali interlocutori di Cinquerosso Arte sono infatti gli operatori del mondo dell’hôtellerie: è in questo ambito, del resto, che risulta utile poter scegliere tra tante opere d’arte – con diversi stili, tecniche, gamme cromatiche, formati – potendo contare sempre sul valore intrinseco dell’opera e sulla grande cura della stampa fine art, nel rispetto dei budget.

Il SIA, Salone internazionale dell’accoglienza, è una delle più importanti fiere dedicate ad alberghi, campeggi e glamping del nostro paese, dove convergono ogni anno operatori del settore di tutto il mondo. L’edizione 2023 sarà particolarmente ricca e permetterà di esplorare ogni aspetto dell’ospitalità, spaziando dall’interior design alle applicazioni per self check, dai servizi per gli alberghi alla fornitura di prodotti, dalle tecnologie audio e video all’arredo outdoor.

Per Cinquerosso Arte, nato nella primavera del 2022, si tratta della prima presenza ufficiale a questo prestigioso evento che attrae professionalità e visitatori da ogni continente. Presso lo stand 085, Pad D5, si potrà visionare una carrellata degli oltre 40 artisti che collaborano con la piattaforma di e-commerce, e si avrà l’occasione di approfondire dal vivo il servizio di consulenza B2B.

Arrivederci a Rimini!

I 5 stili di interior design più utilizzati nei progetti di arredo

Quali sono i 5 stili di interior design più utilizzati dai professionisti dell’arredamento? Può essere difficile trovare una risposta a questa domanda, perché oggi esiste una grande varietà di stili, e soprattutto c’è la tendenza a combinare elementi dell’uno e dell’altro per dare agli ambienti una maggiore personalizzazione e un’identità più definita.

Esistono comunque stili di arredamento che ritroviamo con sempre maggiore frequenza non solo nelle abitazioni private ma anche in alberghi, ristoranti, bar e strutture ricettive in generale.

In questo breve excursus tra i 5 stili di interior design più utilizzati non possiamo che partire dallo stile classico. Intramontabile, questo stile si addice ad abitazioni spaziose ed eleganti come le ville, o ad alberghi dall’impronta europea. Qui prevalgono le linee curve e barocche, apparentemente senza spigoli, i colori scuri e l’illuminazione soffusa; frequenti, nell’ultimo periodo, sono anche i richiami all’art déco con la sua allure modernista. Troviamo tappeti e tendaggi importanti, sedie e poltroncine imbottite. I mobili sono in legno massiccio, i lampadari di cristallo o comunque d’impatto. Lo stile classico contempla l’uso del marmo, sia per i pavimenti sia per dettagli. L’atmosfera è morbida e calda, rassicurante, intensa.

Tra gli stili di interior design più apprezzati ritroviamo senz’altro lo stile contemporaneo. Caratterizzato da linee rette e pulite, si addice ad appartamenti di qualsiasi metratura e attici, preferibilmente luminosi. È uno stile minimale, con mobili funzionali e dal design pensato per garantire ergonomia e integrazione tecnologica (benvenuta la domotica in ambienti di questo tipo). I complementi d’arredo sono pochi, perché prevalgono gli spazi vuoti. Vengono utilizzati tutti i tipi di materiali, dal legno alla pietra, dall’acciaio al vetro, purché dosati in modo da bilanciarsi perfettamente senza che uno prevalga sull’altro. I colori sono generalmente neutri, come il bianco e il grigio, a cui fanno da contrappunto contrasti forti. L’atmosfera è confortevole, ed esprime eleganza e sobrietà.

Uno stile che si sta sempre più imponendo anche nelle città italiane è l’industrial. Nato nella New York degli anni Cinquanta, dal recupero di vecchie strutture industriali, oggi viene tipicamente applicato quando si deve arredare uno spazio originariamente non pensato come abitazione. Ecco, quindi, open space con grandi vetrate o finestre alte, colonne, travature, tubi, volumi che si estendono verso l’alto perfetti per essere soppalcati. La palette è scura, con forti contrasti caldo freddo dati dall’utilizzo di materiali come metallo, legno, cemento, mattone. I mobili e i complementi di arredo sono solitamente vintage o di recupero. L’illuminazione prevede un misto di luce artificiale e naturale. L’atmosfera è intrigante, urbana, adatta alla convivialità.

Uno stile di arredamento intramontabile è quello che possiamo definire rustico. Adatto a case di campagna, o comunque nel verde, questo stile prevedere tanto legno, anche colorato, ferro battuto, carta da parati, tessuti di lino e cotone, ricami, e molte piante d’appartamento. La palette è chiara, con tinte pastello. I mobili possono essere più o meno ricercati, ma spesso sono shabby chic. L’arredamento, soprattutto quando si tratta di bar o ristoranti, è talvolta “scombinato”. Nelle abitazioni ha grande importanza la cucina, luogo deputato all’incontro e alla condivisione. L’atmosfera è romantica, con un sapore di famiglia e di infanzia.

Stile adatto a qualunque ambiente, che sia di città o di campagna, abitazione privata o luogo di passaggio, è sicuramente il boho chic. È uno stile di interior design eclettico, che si caratterizza per un richiamo all’epoca bohémien da cui prende il nome. Creativo, divertente, esagerato, prevede un arredamento a prima vista incoerente, ma che non risulta confusionario. Troviamo legno, vimini, stoffe, mobili di recupero, echi coloniali ed etnici, elementi vintage anni ’50 e’ 60, e soprattutto tanto colore. L’atmosfera è vivace e accogliente come un salotto disordinato perché vissuto in allegria.

Naturalmente, per ognuno di questi stili di interior design è essenziale scegliere opere d’arte che siano in perfetta sintonia con l’insieme. Per questo basta rivolgersi al servizio di consulenza di Cinquerosso Arte che, nella grande varietà offerta dagli artisti selezionati, saprà individuare l’opera perfetta per il progetto.

Giulio Brandelli un'arte spontanea

Giulio Brandelli – Disegno gli spettatori invisibili della mia vita

Musicista e creativo a tutto tondo, Giulio richiama nelle sue opere gli amici immaginari dell’infanzia per averli sempre accanto. La sua è un’arte spontanea e ardente, gioiosa ma anche profonda.

Parlaci della tua formazione artistica.

Ho un talento innato per il disegno, che è venuto fuori fin da piccolissimo. Capitava spesso che, alle elementari, i maestri pensassero che i miei disegni in realtà fossero fatti da un adulto. Però non ho avuto una vera e propria formazione perché i miei genitori hanno preferito per me altre strade. Ho frequentato ragioneria invece che il liceo artistico, ma per compensare e nutrire il mio lato creativo ho studiato tromba al conservatorio. Sono anche musicista, quindi, e suono tuttora. Con il covid ho ripreso a dipingere con più assiduità, cambiando radicalmente stile. Prima il mio era un disegno realistico e i miei soggetti erano corpi di donne, oppure volti. A un certo punto ho iniziato a sentire come troppo restrittive le regole del ritratto e del realismo in generale. Allora sono tornato alle origini, a quello che amavo fare da bambino.

Le tue bizzarre creature…

Già da piccolo combinavo corpi umani e animali per creare figure antropomorfe, e ho ripreso a fare qualcosa di simile. Come dice una mia amica, sono gli amici immaginari dell’infanzia che abitavano sotto il letto, e adesso li ho tirati fuori. Li chiamo “disegnini” o “mostrini”, e all’apparenza sembrano solo buffe creature. In realtà dietro c’è qualcosa di più profondo: sono gli spettatori invisibili della mia vita, osservano in silenzio e divertiti quello che faccio e che mi accade. Ho appena vissuto un’esperienza molto difficile in famiglia, un’esperienza che mi ha fatto provare tanta paura e mi ha portato a riflettere su che cosa sia davvero importante nella vita. Nelle mie opere c’è anche questo.

Quali tecniche usi?

Diverse tecniche, mi piace cambiare e ho una buona manualità, per cui riesco a fare tante cose, che sia cucinare o scolpire il legno o fare l’uncinetto. All’inizio erano solo acquerelli, poi sono passato a una tecnica mista. Uso fogli di carta acquerellabile molto spessi, su cui preparo una base mischiando acquerelli, inchiostri, pennarelli, penne, matite. Di solito parto da un’idea, un concetto (per esempio, la sensazione di non avere mai abbastanza tempo, che è qualcosa che sperimentiamo tutti), a quel punto mi vengono in mente le figure e mi lascio guidare dalle loro forme.

Se dovessi associare la tua arte a un genere musicale, quale sarebbe?

Io suono in una street band, e credo che rispecchi perfettamente la mia arte. Dentro c’è un po’ di astrattismo, un po’ di cubismo, c’è lo stile dei murales… Qualcosa di vitale e comunicativo.

Che cosa pensi di Cinquerosso Arte?

Ho aderito subito con grande entusiasmo perché credo abbia molto potenziale. Mi è piaciuto tantissimo incontrare gli altri artisti, anche perché è qualcosa che non accade di frequente. Da musicista ci sono molte più occasioni per conoscere e confrontarsi, mentre il mondo dell’arte è un po’ più chiuso e ci sono meno possibilità di contatto. In Cinquerosso Arte ho visto un gruppo affiatato e ben impostato, e mi auguro davvero che questo progetto possa portare cose belle a tutti. Sono persone speciali.

Scopri le opere di Giulio Brandelli!

intervista Paolo Tamburini

Paolo Tamburini – La fotografia mi permette di guardare oltre

Ironiche, spiazzanti, leggere ma non fatue, le fotografie di Paolo Tamburini nascono da pensiero e maestria e disegnano realtà sovrapposte.

Limpidi strati di luminose rivelazioni.

Come sei arrivato alla fotografia?

La fotografia è stata la mia seconda, grande, passione artistica. Sono figlio di una cantante e ho studiato violoncello fin da bambino, ma non ho potuto diplomarmi al conservatorio a causa di una tendinite. I primi ricordi che riguardano la fotografia risalgono all’infanzia:  mio padre (che era un appassionato) “costringeva” me e le mie sorelle a guardare le diapositive dei nostri viaggi di famiglia. Intorno ai 16 anni ho iniziato a esplorare questo mondo insieme a un amico. Di nascosto prendevo la Canon 35 mm di mio padre, di cui era gelosissimo, e andavo con il mio amico a scattare foto in campagna e nelle colonie abbandonate. Il salto al digitale è avvenuto ai tempi dell’università. Parallelamente agli studi in lettere, ho frequentato corsi di fotografia, anche in camera oscura, e seminari con professionisti del settore. È In quel periodo che hanno cominciato a chiedermi fotografie su commissione.

Dopo la laurea ho iniziato a insegnare, ma durante la pandemia ho abbandonato questa carriera e mi sono dedicato interamente alla fotografia. Ora collaboro con un’agenzia di comunicazione specializzata nel settore dell’interior design.

A che cosa stai lavorando in questo periodo?

Per il mio ultimo lavoro mi sono lasciato guidare dal richiamo delle atmosfere notturne. Il progetto, che inizialmente avevo chiamato “Notti magiche”, è un’esplorazione delle luci che popolano la notte della mia città: scatti urbani, vedute, angoli di zone residenziali. Poi è emersa una seconda urgenza: ho voluto provare a rappresentare la mia città e i suoi dintorni come una colonia su un lontano pianeta abbandonato. È nato così “Planet Rimini”, in cui immagino un papà e una figlia a girovagare per ambienti e scenari alieni.

Dunque non ti limiti a fotografare la realtà, ma la trasformi.

In un certo senso sì. Mi piace questo approccio alla fotografia: lo considero un allenamento per rinnovare di continuo il mio modo di guardare. La vita non si esaurisce con quello che vediamo, ma c’è tanto che non riusciamo a percepire. Le arti, come la fotografia, riescono talvolta a svelare questo “altro” che c’è ma non si nota a prima vista. Per esempio, nell’estate del 2021 ho lavorato a una serie di foto che ho chiamato “Aestatica”, di cui sono protagonisti materassini gonfiabili a forma di animali o di frutta, in ambientazioni “realistiche”. È stato un inno alla fantasia e allo sguardo dei bambini, che vedono quegli oggetti come copie della realtà e allo stesso tempo come reali.

In te c’è chiaramente una vena ironica.

Sì, è una scelta. Nella fotografia contemporanea si vede tanto disagio, tanta fatica, tanta solitudine e narcisismo. È la nostra realtà ed è giusto rappresentarla e interpretarla artisticamente. Io cerco di non “crogiolarmi” nel disagio; cerco di porre l’accento sul positivo che vedo, vorrei non fornire ulteriori casse di risonanza al disagio.

Tu sei anche un musicista. Vedi legami tra musica e fotografia?

Sì, molti. In particolare c’è una parola comune: composizione. La trovo un bel ponte tra queste due forme di espressione artistica.

Si crea una composizione a partire da qualcosa che si ha in mente (quello che in musica è il tema), dopodiché si fanno arrangiamenti mettendo in campo la propria cultura, i propri riferimenti consci o inconsci. Preparare un set, soprattutto per gli still life, è un’operazione simile agli arrangiamenti musicali che servono per andare a comporre l’insieme. Poi però ci sono situazioni più “rischiose”, come nel reportage, in cui la composizione la si deve tirare fuori all’istante: si diventa tutti un po’ come jazzisti che improvvisano melodie sul momento.

Cosa pensi di Cinquerosso Arte?

Mi ha colpito molto il desiderio di Francesca Fazioli di partire dalla bontà dei rapporti tra di noi. Ho avuto modo di conoscere tutti i componenti del gruppo, in diverse occasioni, e si vede chiaramente che Francesca ha a cuore la costruzione di una squadra, il fatto che stiamo bene insieme. Sono stato contento di incontrare altri artisti, con cui è iniziata una relazione di amicizia. Cinquerosso Arte mi ha già dato tanto.

Scopri le fotografie di Paolo Tamburini!

arredare arte hotel

Come arredare con l’arte il tuo hotel

Nel settore dell’ospitalità si sta sempre più prendendo coscienza di quanto sia importante arredare con l’arte gli hotel. Non si tratta solo di abbellire una parete, ma di creare nel cliente un’esperienza di soggiorno indimenticabile.

Le opere d’arte sono fondamentali per creare un ambiente confortevole e accogliente per l’ospite di un hotel. Non solo: quello che fa la fortuna di un albergo è la sua capacità di imprimersi nella memoria del cliente, che sarà così invogliato a tornare e a consigliare la struttura. Ecco perché sarebbe un grave errore non curare la scelta delle opere d’arte che arredano hall, camere e ambienti comuni. Ciascuno di noi ha sicuramente soggiornato in alberghi di cui non ricorda quasi nulla, perché la struttura era pensata solo per offrire servizi.

Ricordiamo bene invece gli alberghi in cui ci siamo sentiti accolti e curati, gli alberghi che avevano una personalità, un’identità ben precisa.

Ma quali sono gli elementi da tenere in considerazione per arredare con l’arte un hotel?

Innanzitutto lo stile e l’immagine coordinata.

Se l’identità dell’albergo è stata ben impostata, sarà stato deciso uno stile (essenziale, elegante, futurista, shabby chic e così via) e sarà stata selezionata una palette di colori. È indispensabile che le opere d’arte siano in armonia con queste scelte. Ma attenzione, non è detto che – per esempio – a uno stile moderno non possano corrispondere opere dal sapore retrò. Si tratta di saper dosare con maestria gli stili per dare risalto all’opera e valorizzare l’identità dell’albergo. In questo caso il servizio di consulenza di Cinquerosso Arte può rivelarsi particolarmente utile, proprio perché permette di individuare le opere più adatte senza accontentarsi della soluzione più scontata.

L’arredamento e gli spazi.

Le opere d’arte dovranno ben sposarsi con l’arredamento scelto e con gli spazi a disposizione. Questo significa che l’opera dovrà essere collocata dove può essere valorizzata al meglio e valorizzare a sua volta ciò che la circonda. Per fare un esempio piuttosto semplice, un’opera molto piccola in un ambiente molto grande scompare, mentre un’opera molto grande in un piccolo ambiente rischia di risultare visivamente ingombrante e inopportuna. Allo stesso modo, un’opera sovradimensionata rispetto ai mobili svilisce i mobili stessi, e viceversa. E ancora: se l’opera è destinata a essere vista da lontano dev’essere di forte impatto visivo, mentre un’opera molto dettagliata dev’essere collocata dove può essere osservata da vicino. Questi principi valgono per qualsiasi progetto di arredo, che sia un’abitazione privata o un luogo pubblico, ma sono ancora più importanti in un albergo, dove gli spazi devono essere bilanciati al millimetro per garantire funzionalità ed ergonomia senza rinunciare al gusto.

Anche in questo caso poter scegliere tra diversi formati di una stessa opera permette di trovare il match perfetto tra arte e arredamento dell’hotel, ed è per questo che Cinquerosso Arte offre diverse possibilità di personalizzazione.

-L’atmosfera.

In un albergo, l’atmosfera è tutto. È a partire dall’atmosfera che l’ospite percepisce di vivere un’esperienza piacevole e destinata a rimanere impressa nella memoria. Creare la giusta atmosfera significa, per esempio, scegliere i soggetti, gli stili, i colori adatti alle diverse aree dell’hotel. Un’opera perfetta per la sala ristorante potrebbe risultare fuori luogo in camera, perché tutto dipende dall’emozione che si vuole suscitare nell’ospite. Inoltre, a prescindere dalla collocazione, tutte le opere devono esprimere con diverse sfumature l’atmosfera complessiva dell’albergo. Per esempio, per un B&B di montagna si cercherà di creare un’atmosfera molto diversa da quella di un albergo in una metropoli o di uno in riviera. Le opere d’arte in un albergo devono essere coerenti tra loro e differenziate in base alla collocazione. Anche in questo caso Cinquerosso Arte può affiancare gli interior designer per individuare le opere giuste.

-Il budget.

Fattore niente affatto banale, il budget non può certo essere trascurato. Nessun albergo ha risorse illimitate, e le opere d’arte possono essere molto costose. Occorre quindi trovare il giusto equilibrio tra qualità delle opere e capacità di spesa. Sarebbe un errore ragionare solo in termini di risparmio (per esempio acquistando opere di scarso valore) per tutte le ragioni che abbiamo elencato sopra, e anche perché la qualità non invecchia: un’opera d’arte di qualità non subisce le mode e mantiene inalterato il suo fascino nel tempo. Si tratta piuttosto di individuare opere di ottimo livello a prezzi congrui rispetto alle ambizioni della struttura alberghiera. Tutti hanno diritto alla bellezza, anche in viaggio. È il principio dell’arte accessibile che ha portato alla nascita di Cinquerosso Arte, ed è il motivo per cui questo progetto risulta così interessante per chi deve arredare un albergo.

Scopri come arredare con l’arte il tuo hotel grazie al nostro servizio di consulenza!

Giulio Rigoni Arte Mistica

Giulio Rigoni – La mia è un’arte mistica

Volti impassibili come icone bizantine, costruzioni tanto precise quanto improbabili, scene oniriche sospese in un tempo indefinito. L’arte di Giulio Rigoni risveglia moltitudini di ricordi e impressioni, rigorosamente senza guida alla lettura.

Giulio, raccontaci la tua storia artistica.

Ho studiato storia dell’arte all’università, ma poi la vita mi ha portato altrove. Mi sono trasferito a Londra e ho iniziato a lavorare nel settore della pubblicità. Questa passione per l’arte è però riemersa e mi sono messo a dipingere quasi per gioco. Via via è poi diventato un impegno sempre più concreto.

Nelle mie opere mi ispiro moltissimo al mio primo amore: l’arte tardo-gotica. È un’arte a cavallo tra lo stile bizantino, così lontano dal naturalismo,  e il Rinascimento, che invece si addentrò nella scoperta della natura e nella verosimiglianza.

Nel periodo tardo-gotico si iniziò a lavorare sulla figura umana, ma questa continuava ad avere forme più spirituali che realistiche. È qualcosa che mi affascina molto, ed è stato il punto di partenza del mio lavoro.

Hai uno stile molto personale e riconoscibile, che in alcuni casi ricorda le atmosfere di Mille e una notte. Ci sono riferimenti diretti?

Non mi ispiro direttamente a questi racconti, ma posso essere definito un tradizionalista e subisco il fascino delle culture classiche, anche mediorientali. Mi piacciono inoltre le ambientazioni un po’ sognanti, che di certo pescano in un immaginario fiabesco. La chiave di lettura della mia arte è proprio il passaggio tra realtà e finizione, dove la seconda aiuta a capire meglio la prima. Se dovessi descrivere la mia arte in una sola parola, la definirei mistica. Non amo fornire interpretazioni o chiavi di lettura, proprio perché mi piace pensare che ognuno possa trovare qualcosa di diverso nelle mie opere. Vivere un’esperienza unica e, appunto, mistica.

A che cosa ti ispiri per le tue opere d’arte?

Spesso si tratta di temi che danno origine a serie. Per esempio ho disegnato la serie delle torri, che sono tutte diverse tra loro pur partendo da un’idea comune. Le architetture in generale mi piacciono molto, e forse sono un architetto mancato. Mi piacciono le geometrie, mi piacciono le costruzioni del passato. Questo affastellarsi di forme immaginifiche mi diverte e mi dà sempre stimoli. Mi capita sempre più spesso di lavorare anche su commissione; in questo caso il committente mi chiede di interpretare ricordi, narrazioni, che di solito realizzo su più tavole.

Ami molto gli sfondi neri.

In effetti ne vado molto fiero. Lavoro con la pittura a olio su legno, ma per lo sfondo uso l’acrilico, ottenendo un nero particolare, che ha una sua profondità. Le figure risultano così fluttuare in questo cielo nero, un po’ cosmico. Mi piace molto dare l’idea di scene fuori dal tempo, né di oggi né del passato, sospese in un momento indistinto. Le mie opere, insomma, fluttuano in un cosmo circolare che tutti ci governa, sospese nel non tempo.

Per gli sfondi amo molto anche il rosso e il blu, ma in generale la mia palette è piuttosto limitata: uso circa 12 colori e sono sempre gli stessi.

Che cosa pensi del progetto Cinquerosso Arte?

Sono molto contento di essere coinvolto, anche perché è nata una bella amicizia con Francesca Fazioli e mi piace tantissimo il suo entusiasmo. Inoltre questa collaborazione è arrivata al momento giusto, perché da qualche tempo ho iniziato a interessarmi alla stampa fine art. Con questo tipo di riproduzione di altissima qualità, l’opera d’arte diventa più accessibile e democratica e vorrei approfondire le potenzialità in relazione ad alcune mie opere.

Scopri le opere di Giulio Rigoni!

armocromia: scegliere la giusta palette per gli ambienti della casa

Armocromia e interior design – Scegli le opere d’arte in palette con gli ambienti della casa

Secondo i principi dell’armocromia, è importante scegliere la giusta palette per gli ambienti della casa. Ma che cosa vuol dire, concretamente?

Iniziamo dal principio. L’armocromia (termine portato alla ribalta da Rossella Migliaccio nel suo best seller del 2019) è diventato un tema molto popolare in relazione alla cosmesi e all’abbigliamento. Come suggerisce la parola stessa, si tratta di individuare le tonalità che sono in armonia con l’incarnato, nonché con il colore dei capelli e degli occhi. L’insieme di colori che più si addicono a una persona viene definito palette. Oggi è molto diffusa la classificazione di queste palette in “stagioni” e relativi sottogruppi.

Sapere se siamo più “inverno” o più “primavera” è un’utile guida per scegliere un vestito o un make up, ma cosa ha che fare con l’interior design e soprattutto con l’arte?

Di fatto, i principi dell’armocromia non si applicano solo alla persona, ma valgono anche per gli ambienti in cui viviamo. Trovare la giusta palette per gli ambienti della propria casa, come suggeriscono gli esperti di armocromia, non significa solo abbinare bene i colori tra di loro, ma anche sfruttarli per agire sulla percezione dello spazio e sul benessere delle persone.

Colori e tonalità sono elementi che gli interior designer devono tenere in considerazione per garantire equilibrio nell’arredamento, anche in relazione allo scopo dell’ambiente stesso e alla personalità di chi lo abita. A seconda dei colori scelti, per esempio, una cucina potrà trasmettere un’idea di ordine, oppure di vivacità o di calore. Per una camera da letto sceglieremo probabilmente tonalità rilassanti. Ma quello che conta non è il colore in sé: sono soprattutto gli accostamenti. Esattamente come i suoni, infatti, anche i colori possono risultare “stonati”, stridenti, piacevoli o coinvolgenti. I colori possono essere anche “ingombranti”: una palette scura darà l’idea di un ambiente più raccolto e intimo, ma se si esagera si rischia di dare un senso di clausura. I colori molto chiari esaltano gli spazi della casa, ma possono risultare freddi e anonimi. Insomma, si tratta di delicati bilanciamenti, e naturalmente anche le opere d’arte devono concorrere all’effetto di insieme. Ecco perché, applicando l’armocromia agli ambienti di una casa, occorre rispettare la palette anche nella scelta delle opere.

Anzi, in alcuni casi si può partire proprio dall’opera e farsi guidare da essa. La peculiarità degli artisti è proprio quella di saper scegliere tonalità e accostamenti per comunicare e suscitare emozioni, ragione per cui anche gli interior designer possono scegliere di ispirarsi a un quadro oppure a una fotografia nel decidere i colori di un arredo.

Se volete vedere qualche esempio, visitate le pagine degli artisti di Cinquerosso Arte e noterete che le collocazioni delle opere nei diversi ambienti sono realizzate nel rispetto della palette, in perfetta armocromia.

Andrea Piccioli Arte

Andrea Piccioli – L’arte per me è soprattutto relazione

Giovanissimo, Andrea Piccioli ha già alle spalle una storia densa e ricca di avventure, in cui l’arte dà volto alle emozioni, crea legami e fa nascere sempre qualcosa di nuovo.

Come sei arrivato all’arte?

Ho iniziato a disegnare fin da piccolissimo, anche perché era l’unico modo che i miei genitori avevano trovato per tenermi buono. A 8 anni sono stato colpito da una malattia autoimmune e ho dovuto passare un anno in ospedale; in quel periodo l’arte mi ha aiutato tantissimo: disegnavo, leggevo, ascoltavo musica, guardavo film. È stato allora che mi sono innamorato di Miyazaki e ho iniziato a sognare di scrivere e illustrare storie. Non ho più smesso di disegnare e lo faccio in continuazione, o come attività in sé o come semplice passatempo, magari mentre sono in un locale con gli amici. Si può dire che lo faccia per professione da quando ero un bambino, perché già alle medie ho venduto alcune opere.

Hai seguito una formazione specifica?

Ho studiato al liceo artistico, e così ho potuto conoscere il mondo dell’arte e sviluppare le diverse tecniche. Passavo i fine settimana a disegnare e dipingere per strada con uno dei miei più cari amici. Mettevamo un po’ di musica e realizzavamo dei disegni, anche in collaborazione. Li vendevo poi a offerta libera, perché non riuscivo a valutare i miei lavori e quindi chiedevo agli altri di farlo. Mi sono confrontato con il mondo e ne ho ricevuto un grande incoraggiamento, ho conosciuto tante persone nuove che ancora oggi fanno parte della mia vita. Da lì ho ricevuto incarichi per murales, serrande, eventi, esposizioni e performance dal vivo. Queste ultime mi appassionano molto, perché mi interessa soprattutto il rapporto con l’altro. Nel periodo dell’adolescenza ho iniziato a crearmi una mia estetica sempre più definita, in una ricerca che ovviamente continua ancora. In quel periodo ho iniziato a lavorare sui volti, che rappresentavano i miei stati d’animo, l’insieme delle emozioni che provavo. Cerco, insomma, di dare un volto al mio sentire, per avere con esso un rapporto più reale.

L’arte è quindi centrale nella tua vita.

Sì. L’arte mi definisce. Sento la necessità di esprimermi attraverso l’arte, e questo mi porta a vivere esperienze molto cariche di significato. Dopo il liceo, per esempio, sono partito e sono andato su un’isola del Canada grande come la Corsica ma abitata appena da 5000 persone. L’idea era di soggiornare per un breve periodo e poi riprendere il viaggio, ma mi sono trovato nel bel mezzo della pandemia. Tutti i collegamenti sono stati interrotti e ho trascorso lì diversi mesi. All’inizio lavoravo come aiuto cuoco e giardiniere, ma poi le persone del posto hanno iniziato a conoscermi e ad apprezzare quello che facevo. Su quell’isola vivono in armonia diverse comunità: ci sono famiglie di indigeni, ma anche americani, europei, asiatici e africani. L’isola mi ha accolto, e ho passato il resto della mia permanenza a realizzare opere per la comunità e per i privati. Tra le altre cose ho aiutato a costruire un rifugio nella foresta, per cui ho decorato stanze, cucina, porte…

Un’esperienza indimenticabile.

Assolutamente. Da solo, dall’altra parte del mondo, sono riuscito a comunicare e creare un rapporto con queste persone proprio grazie all’arte. Del resto la mia concezione dell’arte è molto vicina all’estetica relazionale di cui parla Nicolas Bourriaud. Mi interessa il rapporto tra arte e vita, tra arte e umanità.

Come si inserisce Cinquerosso Arte in tutto questo?

Anche in questo caso nasce tutto da una relazione, perché sono arrivato a Cinquerosso Arte grazie a un amico. Ringrazio lui e Francesca per avermi fatto entrare in questa squadra, perché mi ha permesso di avvicinarmi di più al panorama artistico italiano. Finora ho sempre “lavorato dal basso”, nelle strade, nei centri sociali, nei festival. Il fatto di avere stampe delle mie opere in questo nuovo contesto è per me una grandissima opportunità.

Scopri le opere di Andrea Piccioli!

Buon compleanno Cinquerosso Arte

Buon compleanno Cinquerosso Arte!

Il 5 maggio 2022 iniziava ufficialmente l’avventura di Cinquerosso Arte. A dodici mesi di distanza si può già fare un primo bilancio, tra aspettative e prospettive. Ne parliamo con Francesca Fazioli, mente e cuore del progetto.

Francesca, ripensando a un anno fa, qual è la prima cosa che ti viene in mente?

Ricordo in particolare la fibrillazione di quei giorni. Anche se il varo ufficiale di Cinquerosso Arte è avvenuto il 5 maggio, avevamo alle spalle già diversi mesi di lavoro, durante i quali abbiamo coltivato l’idea ed il progetto, dandogli corpo giorno dopo giorno.

In quel momento il futuro era pieno di incognite, perché si trattava di percorrere una nuova strada, ma eravamo animati da una grandissima energia. E devo dire che quella energia non è mai venuta meno, ma al contrario è progressivamente cresciuta, alimentata anche dall’entusiasmo dei nostri artisti, sia di quelli già presenti sin dall’avvio che di quelli che via via si sono aggiunti.

Sei soddisfatta dei risultati ottenuti nel nome dell’arte accessibile?

Sì. La mia idea era dare visibilità e mercato agli artisti emergenti, e credo di aver colto nel segno decidendo di investire sul talento. È una grande soddisfazione notare che nel tempo ci sono state tante adesioni. Oggi con Cinquerosso Arte collaborano artisti giovanissimi e altri con maggiore esperienza, persone che vivono d’arte e altre che nell’arte hanno trovato una strada parallela per esprimersi. In ogni caso la qualità delle opere è straordinaria, come è possibile notare scorrendo la nostra galleria.

Ci sono episodi che ricordi con particolare piacere?

Sono tanti, è impossibile elencarli tutti. Sicuramente la partecipazione ad alcuni importanti eventi fieristici, entusiasmante sotto molti punti di vista. Per una realtà appena nata come la nostra è stato di grande impatto partecipare a Parigi ad un evento di respiro internazionale come Maison et Objet. Abbiamo preso parte al Sia di Rimini, la fiera dedicata all’ospitalità, dove, tra l’altro, abbiamo avuto il privilegio di fare la conoscenza di Marcello Ceccaroli, un architetto di grande peso nel mondo dell’hôtellerie. Siamo stati, inoltre, tra coloro che hanno animato Artefiera White Night 2023, in occasione della prestigiosa fiera dell’arte di Bologna, con un’apertura straordinaria dei nostri spazi ed un live painting di grande impatto emotivo che ha raccolto tanto interesse.

Ancora, posso citare con grande soddisfazione il fatto di essere stati contattati da Ennismore, una società internazionale che cura e gestisce prestigiosi hotel in diversi Paesi, interessata alle nostre opere per arredare una elegante struttura di prossima inaugurazione. E infine, per arrivare alla più recente novità, siamo diventati partner di AIPI – Associazione italiana professionisti interior designers. Questa collaborazione dispiega tante possibilità, e ne siamo ovviamente molto orgogliosi.

Insomma, appena nato, Cinquerosso Arte ha già fatto tanta strada. Qual è il prossimo obbiettivo?

In questo anno abbiamo gettato le fondamenta, coinvolgendo tanti artisti e stringendo molti contatti. Ora puntiamo a consolidare il nostro brand, a posizionarci come interlocutori affidabili nel settore dell’architettura e dell’arredamento. Ci rivolgiamo soprattutto ai professionisti, perché siamo convinti che le opere d’arte rappresentino un grande valore aggiunto nella progettazione di un ambiente.

La nostra missione rimane duplice: favorire il talento e portare sempre più arte nella vita delle persone. Mi emoziona pensare che le opere dei nostri artisti entrino in una casa, nella hall di un grande albergo, nelle sale riunioni di un ufficio… insomma in un luogo vissuto e frequentato che attraverso l’arte diventa più vivo. Non un semplice spazio arredato, ma un ecosistema in cui convivono funzionalità e bellezza.

Guarda il video!

Maison&Objet

Cinquerosso Arte espone a Maison&Objet, la fiera dell’interior design

Dal 19 al 23 gennaio, Cinquerosso Arte sarà a Parigi per partecipare a Maison&Objet

Padiglione “Today”, Hall 6 – Stand K49

Maison&Objet è uno dei più importanti eventi al mondo dedicati all’interior design e ai complementi d’arredo. La fiera si tiene due volte all’anno, a gennaio e a settembre, sempre a Parigi, e richiama decine di migliaia di professionisti dell’arredamento da ogni Paese. Tantissimi prodotti esposti, dai mobili ai più piccoli accessori, tantissime idee sull’interior design contemporaneo, tantissime occasioni per conoscere e confrontarsi. 

La partecipazione a Maisong&Obiet è quindi un evento ricco di potenzialità per Cinquerosso Arte, che avrà modo di presentare il suo progetto di arte accessibile per l’interior design a una vastissima platea di architetti, arredatori e general contractors.

Il tema di quest’anno è “Take Care!”. Il prendersi cura di se stessi, degli altri e del pianeta è quindi il  concetto – il valore – attorno al quale ruota l’intera organizzazione della fiera. Take Care!, in questo caso, è inteso come un focalizzarsi, un riconnettersi alla realtà e agire. Questo concetto copre un ampio spettro di scelte, dall’ergonomia di un mobile alla scelta di materiali ecologici per ridurre l’impatto ambientale dell’arredamento. 

Cinquerosso Arte porta in questo contesto la sua idea di bellezza, l’arte come un dono capace di migliorare la vita delle persone. Dai contractors agli arredatori, tutti possono beneficiare di una selezione di artisti che mette a disposizione opere d’arte di qualità, con un’ampia variabilità di stili, tecniche, colori e atmosfere.

Dove trovarci a Maison&Objet

Lo stand di Cinquerosso Arte è presente nel Padiglione “Today”, Hall 6 – Stand K49. Per appuntamenti è possibile utilizzare gli abituali recapiti, oppure il form sul sito di Maison&Objet https://www.maison-objet.com/en/paris/exhibitors/cinquerosso-arte-today.

Cinquerosso Arte vi aspetta a Parigi!

consulenza opere arte interior designer

Il servizio di consulenza di Cinquerosso Arte

Vi è mai capitato di entrare in una stanza e percepire una sensazione di armonia, come se ogni cosa fosse esattamente al suo posto?

È quello che succede quando l’ambiente ha un proprio stile, una coerenza tra gli elementi che non lascia emergere dissonanze. Prima ancora di osservare i singoli pezzi che compongono l’arredamento, si avverte il piacere di trovarsi in un luogo curato, governato da un pensiero.

Il servizio di consulenza offerto da Cinquerosso Arte serve proprio a questo, a individuare l’opera d’arte più coerente con l’ambiente in cui dovrà inserirsi.

A Cinquerosso Arte si rivolgono imprese, contractor e professionisti e lo staff raccoglie ed esamina informazioni sul progetto, che può essere l’allestimento di un piccolo negozio, l’arredamento dell’headquarter di una grande azienda o la hall di un albergo. Si studia quindi la brand identity, poiché le opere dovranno essere coerenti con l’immagine aziendale e con le linee guida della sua comunicazione. Un servizio di consulenza è offerto anche a professionisti, come architetti o interior designer, che Cinquerosso Arte può affiancare fin dalle prime fasi di ideazione. In questo modo il progetto sarà completo e coerente in ogni sua parte.

Lo staff studia lo stile, le necessità e la destinazione degli spazi, e sulla base di questo suggerisce le opere più adatte. Non si tratta soltanto di bilanciare forme, ingombri, colori, tonalità. Lo stile è qualcosa di più complesso, che riguarda anche la sfera dei valori e della vision. L’opera d’arte non serve solo a riempire uno spazio, ma trasmette un messaggio, parla a nome dell’azienda e delle persone.

Infine, il servizio di consulenza è a disposizione anche dei clienti privati. Anche in questo si prende in esame lo stile e la personalità del cliente, perché ogni artista esprime una visione del mondo ed è stupendo quando essa è in sintonia con chi la sceglie.

Non esitate a contattarci per avere maggiori informazioni, saremo felici di accompagnarvi in questa ricerca dell’opera giusta per voi.

Scopri di più sul nostro servizio di consulenza.

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